L’attuale maggioranza non ha voluto fare il fondo immobiliare da noi proposto con lo scopo di poter trattare caso per caso e avere in mano, direttamente o indirettamente l’interlocuzione con i soggetti interessati agli acquisti. Il fondo avrebbe permesso, accompagnato ad una idea di città, di recuperare il patrimonio pubblico senese anche per fini sociali e culturali e non secondariamente anche ad un recupero abitativo del centro storico nelle zone più deboli urbanisticamente. Esiste una periferia del centro. L’attuale maggioranza ha preferito l’investitore di turno “quello che viene con i soldi in bocca” alla programmazione e alla possibilità di una redistribuzione sociale della ricchezza. (P.P.)
C’era una volta l’urbanistica, la scienza delle città. Si capisce perché si sia indebolita o quasi dissolta, ahimè! Aveva il difetto di essere rigida e proporre disegni che, non calibrati su soppesate previsioni socio-economiche e su risorse disponibili, rischiavano di rimanere sulla carta o di abbozzare improbabili scenari. Ma aveva i suoi vantaggi: si basava su obiettivi comprensibili, enunciava ipotesi evidenti. Luigi Piccinato fu geniale nel mettere a punto, con gli altri professionisti della squadra incaricata, la versione riveduta e corretta del Piano regolatore di Siena entrato in vigore del 1959. Molte indicazioni hanno resistito. Bruno Zevi mi disse, quando progettavamo una mostra che poi non si fece:«È un genio: con un colpo d’occhio comprende le dinamiche di una città come fosse un organismo vivente e sa individuare scelte e impulsi da imprimere, articolazioni da rinsaldare, vuoti da lasciar liberi e intatti». Altri tempi. Non voglio qui riprendere le riflessioni critiche svolte sul Piano Operativo, uno dei tanti (troppi) strumenti che dovrebbero intervenire su città e ambiente regolando con flessibilità gli svolgimenti effettivi. Segnalo tre o quattro questioni all’ordine del giorno che prospettano un incerto futuro più efficacemente di qualsiasi intrigante normativa dai risultati imprecisabili. Ogni tanto fiorisce un’idea, rimane a mezz’aria e non si sa nulla del futuro verso cui si punta. Non è facile definire e seguire la visione coerente e ambiziosa di una Grande Siena che respiri in un’area ben più ampia di quella storica. Domina la schizofrenia del volta per volta, come si giocasse a Monopoli. Da ultimo si apprende che Bankitalia ha emesso un bando rivolto a chi intenda concorrere all’acquisto del Palazzo delle Papesse. E anche i volumi progettati da Enzo Zacchiroli per la banca nel declivio verso Ovile saranno offerti a qualche acquirente. Bankitalia non è un soggetto privato qualsiasi. Che adotti una procedura così mercantile e non abbia avviato un serio e approfondito confronto con il Comune – sarò ingenuo – mi pare una strada deprecabile. Bankitalia è stata (giustamente) trattata con i guanti e, grazie a chi bloccò un intervento eccessivamente intrusivo di Carlo Cocchia, si giunse al piano ispirato in nuove modulazioni da Ludovico Quaroni, destinato a liberare il Palazzo delle Papesse che ospitò così funzioni consone a finalità di alto profilo e di interesse pubblico. Purtroppo l’Accademia Chigiana non si fece avanti per acquisire un edificio che sembrava – e sembra – costruito apposta per e estendere il suo insediamento in via di Città. Oggi non si può immaginare una destinazione stravagante e banale come quella contrassegnata in questi mesi dall’Emporio Dalì. Il Comune non credo sia in condizioni di partecipare ad un’asta assai onerosa. E allora che succederà? Ci sarà un kazako di turno? O un soggetto che ami farne una rutilante e spocchiosa vetrina di sue produzioni? Un quesito conseguente investe il complesso di Ovile, inaugurato in pompa magna da Lamberto Dini che ne enfatizzò prospettive radiose. Sarebbe ottima – è un esempio – la destinazione a studentato o comunque a servizi per attività di studio o laboratori giovanili all’opera. Ma che ne sarà? Tanto per cambiare, settimane fa, è transitata l’idea di un albergo da collocare nella ex-caserma Santa Chiara ai Pispini. Ma la concessione demaniale in essere non può, che io sappia, superare la durata di 15 anni. Chi si avventurerà in un’impegnativa impresa avendo davanti un arco di tempo così limitato e obbligante? E poi è mai accettabile che per ogni palazzo che si renda vuoto si ricerchi una destinazione commercial-turistica, dando priorità assoluta ad un tipo di sviluppo da tutti deprecato come patologico? Il turismo sarà la monocultura economica dominante di una Toscana – la questione non riguarda certo solo Siena – in vista di una sua trasformazione in resort per abbienti? Dell’area attorno a Fortezza si torna a parlare di un nuovo stadio con annessi. Ma è concepibile che un’area così delicata, un vero approdo alla città, per ritardi accumulati nel tempo e non imputabili a questa amministrazione, si accetti di inseguire ipotesi speculatrici che nascono come funghi velenosi e vagano del tutto incomprensibili? Sembra che il fastoso Palazzo Sozzini-Malavolti in Pantaneto abbia trovato un’acquirente in grado di dare garanzie solide. Per fare che cosa? Indovinate! Un albergo di lusso provvisto di spa e quant’altro per attrezzarlo quale mèta appetibile. Davanti a questa babele, che non risponde ad alcuna innovativa razionalità d’insieme, insorge la nostalgia per un’urbanistica che disegni forme e soluzioni create da una meditata e discussa idea di città. È morto giorni addietro Carlo Melograni, protagonista di una concezione dell’abitare e dei tessuti urbani inclusivo, vivace, quotidiano e popolare: «Oggi – si rammaricava negli ultimi tempi – si è smarrita ogni idea sulla città, siamo un Paese che non aspira alla modernità, ma all’ultima moda».
Roberto Barzanti
“La Nazione”, cronaca di Siena , 21 novembre 2021