In guerra le regole vanno cambiate
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Nelle prossime settimane l’emergenza sanitaria si trasformerà in emergenza economica e l’emergenza economica rischia di trasformarsi in emergenza sociale. Non c’è azienda che possa sopravvivere più di qualche settimana a fatturato zero. Non c’è debito pubblico nazionale nelle condizioni di reggere un’onda d’urto di tali dimensioni. Altrettanto chiaro dev’essere che per l’Unione europea come l’abbiamo finora conosciuta siamo all’ultimo giro. Ieri una secca nota del ministero delle Finanze olandese ha preso posizione in vista dell’Eurogruppo di oggi, a cui parteciperanno i ministri dell’Economia dei 19 Paesi che ne fanno parte.
La dichiarazione non lascia presagire niente di buono per Paesi come l’Italia. «L’Olanda è impegnata ad assicurare che una forma appropriata di condizionalità sia rispettata per ogni strumento utilizzato, come richiesto dall’attuale Trattato del Mes (il Meccanismo europeo di stabilità)», è scritto. Tradotto in parole comprensibili anche ai non addetti ai lavori vuol dire che i Paesi in difficoltà otterranno aiuti, ma pagheranno come pegno un prezzo salato, il che significa finire come la Grecia. Va detto con chiarezza che se qualcuno pensa di commissariare l’Italia deve avere un’altra certezza: se crolla l’Italia, crolla l’Europa. Siamo di fronte ad una emergenza economica, ad una emergenza di guerra. E, in caso di guerra, le regole vanno cambiate. Questo è il punto.
In queste condizioni spiace constatare che il Parlamento, snodo fondamentale di una democrazia, è il grande assente. Non viene neppure convocato. Il Paese, a partire dai medici, dal personale sanitario, da chi lavora nelle fabbriche, è in trincea mentre i parlamentari se ne stanno a casa loro. Se credono trovino il modo per dibattere a distanza ma, per favore, evitino di sparire nel nulla. Chi prende decisioni di guerra come quelle che vengono annunciate nei numerosi decreti approvati uno dopo l’altro in rapida successione? Qual è il dibattito che c’è dietro? Chi gestisce l’eccezionalità degli eventi?
C’è poi un problema di forma che diventa sostanza. Non è questo il momento delle polemiche, ma almeno un punto fermo va messo. Nella tarda serata di sabato scorso è stata la seconda volta, in poche settimane, che l’intero Paese è restato appeso ad un intervento solitario in diretta del presidente del Consiglio che ha scelto come strumento di comunicazione Facebook, una multinazionale americana che non paga le tasse in Italia, sottraendosi alle domande dei giornalisti. Così non si fa.
Sono giorni difficili, che peraltro tutti stiamo attraversando, e la comprensione per chi si trova al comando del Paese è massima. Tuttavia la richiesta, una richiesta ferma, è che non vengano dimenticati i fondamentali della vita democratica, di cui sia la stampa sia il Parlamento costituiscono colonne fondanti e irrinunciabili. Nell’immediato la scelta di sottrarsi alla conferenza stampa ricorrendo alla diretta Facebook permetterà di conteggiare qualche follower in più, ma non è la strada giusta.