Nel ring del Senato espropriato il testo finale si corregge a voce

Bolgia in commissione dove la maggioranza cambia la legge fuori tempo massimo Urla e tensione, la 5S Bottici aggredisce una senatrice Pd. La preoccupazione del Colle
GOFFREDO DE MARCHIS,
La bagarre
ROMA
Nel Senato espropriato e umiliato non canta più nemmeno la carta. La commissione è una bolgia, l’aula anche. Il maxiemendamento viene corretto a voce dagli esponenti della maggioranza. «Qui scriveremo questo, là cambiamo la cifra, questo pezzo lo stralciamo». I senatori del Pd urlano fuori dalla porta della commissione Bilancio.
«Vergognatevi, dateci la manovra». Non è definitivo nemmeno il testo definitivo e bollinato dalla Ragioneria dello Stato. È la riscoperta della tradizione orale.
I fogli ci sono in realtà. Migliaia, stampati in tutta fretta poco prima delle 14 quando il maxiemendamento che poi è la legge di bilancio nuova di zecca riscritta con l’Europa, arriva al Senato. Sono i fogli che volano nell’emiciclo di Palazzo Madama quando il ministro dei Rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta Riccardo Fraccaro sfida i senatori del Pd. Li guarda a lungo, incrocia le braccia mentre urlano, tiene lo sguardo fisso e loro lanciano la Finanziaria come coriandoli bianchi che si posano su una pagina nera dei lavori parlamentari. Sergio Mattarella, che segue i lavori dal suo studio al Quirinale, è molto preoccupato. Un arrivo sul filo così non si era mai visto, le correzioni orali neanche. Il precedente è grave. Anche se alla fine il governo ha accettato la riduzione del deficit non ci sono motivi di stare allegri.
Il senatore Francesco Zaffini, umbro, di Fratelli d’Italia confessa: «Io sono alla prima esperienza da senatore ma non si capisce niente. Guardando questo percorso sembra di osservare un quadro di Magritte». Ma non c’è nessun capolavoro in questa discussione tra sordi, nelle grida «vergogna» che arrivano prima dai banchi del Pd poi da quelli di Forza Italia, nelle interruzioni continue, negli insulti che volano da una parte all’altra. I portavoce del popolo, i 5 stelle che dovevano portare le istanze della gente nelle aule parlamentari, aprirle come una scatola di tonno, tacciono. Non si era mai visto. «Vere marionette», dice il dem Antonio Misiani, infaticabile nella battaglia. Nessun iscritto a parlare tra i grillini e i leghisti nella discussione generale che comincia alle otto di sera.
Nemmeno un intervento per rivendicare un successo, la rivoluzione, il cambio di passo.
Applausi e bocca chiusa mentre i capi decidono in altre stanze.
Non si era mai visto. Per fare prima, per ridurre i tempi, tutti zitti. Parlano solo le opposizioni.
E il Pd annuncia il ricorso alla Consulta per la riscrittura volante. «Ma io non sto zitta — dice Paola Nugnes, una delle dissidenti a 5 stelle — Non posso fare valutazioni, votiamo un testo appena uscito. Vedo che sui temi ambientali ci sono molte retromarce. Do una fiducia al buio, appunto una fiducia sul futuro. Poi si volta pagina e non voterò mai più un provvedimento che non conoscono, che non ho letto». Il senatore Gregorio De Falco dice che il governo ha messo il Paese in «uno stato di necessità». Si deve solo votare per evitare guai peggiori ma il Movimento non c’è più. «La mancata indicizzazione delle pensioni di 1500 euro lordi non può essere una nostra misura. Questa manovra è il risultato della frequentazione con Salvini». Parlamento bullizzato è una definizione giusta? «Sì — risponde De Falco — La Bonino ha proprio ragione».
La pensa così anche Elena Fattori, altra dissidente: «Voto la mia ultima fiducia. Dall’inizio di questa legislatura chi aveva occupato il Parlamento e le piazze per chiedere onestà, trasparenza e, soprattutto partecipazione e democrazia, ha imbavagliato il parlamento impedendogli di contribuire, correggere e proporre».
Esattamente come è successo sulla manovra.
De Falco si dice convinto che le posizioni dei dissidenti non sono più isolate. Che quanto è successo sulla manovra sta minando la solidità del gruppo grillino. Che la scena dei senatori muti non sarà indolore. Nugnes pensa che forse spostare l’asse, cambiare la ragione sociale della legge di bilancio rispetto al passato comporta dei costi, compreso quello di fare tutto in fretta e furia con la mannaia dell’esercizio provvisorio. «Forse. Ma non è questo il metodo».
Certe volte, commenta De Falco, «meglio non guardare cosa c’è dentro». E buttarsi in un voto alla cieca.
A notte fonda, in aula, ancora si litiga e si contesta. Matteo Renzi ricorda che neanche lui, ai tempi di Palazzo Chigi, era un premier rispettoso dei tempi parlamentari. «Ma la finanziaria la preparavano tre mesi prima, il dibattito c’era, il Parlamento poteva discutere. Questa cosa qui non si era mai vista». Però poi spostando la questione sul metodo, dice che si perde di vista il succo della Finanziaria: «Cioè che fa schifo, che rovina il Paese, che sarà un disastro». Parlare di questo o del Parlamento brutalizzato?
In aula Simona Malpezzi (Pd) denuncia un’aggressione della 5s Bottici. Licia Ronzulli invece un’offesa irripetibile di un senatore leghista e incassa le scuse del viceministro Massimo Garavaglia, tra i più esperti. La maggioranza ha tutto da perdere nella rissa. Bisogna evitare le provocazioni, non fare confusione, portare a casa il risultato con ogni mezzo. Nella notte, stanchi e vulnerabili, quindi meglio conservare le energie.
Leghisti di governo se ne vedono pochi. Il ministro Gianmarco Centinaio, sì. Sottosegretari rari, i banchi dell’esecutivo sono occupati dai grillini a presidiare il dissenso e l’imbarazzo di facce sconsolate, di senatrici e senatori che pensavano di contare di più.
È un quadro di Magritte dove non ci sono colori. Solo il grigio.
Fonte: La Repubblica, https://www.repubblica.it/