DI ALESSANDRO MANCINI

 

1630, Milano. In città imperversava già da un anno una terribile epidemia di peste bubbonica, che colpì diverse zone del Settentrione, oltre al Granducato di Toscana, la Repubblica di Lucca e la Svizzera, causando, secondo le stime, più di un 1 milione di vittime, su una popolazione complessiva di circa 4 milioni. Allora come oggi il rischio del contagio e la letalità della malattia vennero sottovalutati e si celebrarono lo stesso grandi cerimonie religiose e processioni, con tanto di assembramenti, che ovviamente contribuirono alla diffusione della peste fra la popolazione. E non solo: alla crisi sanitaria, anche in quel caso, si aggiunse quella economica, a cui seguirono tumulti, scontri e atti di disobbedienza. Il popolo, infatti, sospettoso nei confronti dell’effettivo pericolo della malattia, se la prese, già all’epoca, con i medici e con i presunti untori, colpevoli di aver diffuso la peste per tornaconto personale e per oscuri interessi. Insomma, quelli che oggi definiamo “negazionisti” esistevano già quattrocento anni fa e a dimostrarcelo ci sono scritti e documenti dell’epoca o successivi che offrono un ritratto fedele e particolareggiato delle scene di follia e delle accuse infondate mosse dal popolo nei confronti dei suoi governanti.

La testimonianza più celebre che possediamo sui fatti del 1630 è il saggio di Alessandro Manzoni, Storia della colonna infame del 1840, che tratta la vicenda, ambientata durante l’epidemia di peste a Milano, del processo intentato a due presunti untori, ritenuti responsabili della pestilenza grazie all’utilizzo di sostanze misteriose. Il processo, che portò alla condanna a morte per mezzo della tortura dei due innocenti, era partito da un’accusa, poi rivelatasi infondata, mossa da quella che Manzoni chiama una “donnicciola” del popolo, tale Caterina Rosa. In origine la vicenda sarebbe dovuta essere inserita nel Quinto capitolo del Quarto tomo de I promessi sposi, nella sua prima edizione, nota con il nome di Fermo e Lucia. Manzoni, però, perennemente insoddisfatto e famoso per ritoccare fino all’ultimo le sue opere, decise alla fine di tagliare questa digressione, che rischiava di risultare fuorviante per i lettori e di pubblicarla successivamente come saggio a sé stante. Le fonti che Manzoni seguì per il suo saggio attingono a documenti e testimonianze più antiche e addirittura contemporanee all’epoca degli avvenimenti: la principale è il saggio del 1777 dell’illuminista milanese Pietro Verri, Osservazioni sulla tortura, in cui l’autore descrive il processo agli “untori” del 1630 come testimonianza dell’ignoranza di un secolo non guidato dalla ragione e come esempio di utilizzo barbaro e disumano della tortura, metodo al quale il pensatore si dice assolutamente contrario.

Alessandro Manzoni (1785-1873)

Verri, per la realizzazione del suo saggio, si era basato a sua volta su un’opera precedente, quella di Giuseppe Ripamonti, un sacerdote e cronista della pestilenza, che scrisse il De peste quae fuit anno 1630, una dettagliata ricostruzione dei fatti e delle vicende legate all’epidemia che colpì Milano, fra cui la persecuzione degli untori. Altro importante documento dell’epoca, prezioso per il lavoro di ricostruzione storica del Manzoni, è il Raguaglio dell’origine et giornali successi della gran peste. Contagiosa, venefica, & malefica seguita nella città di Milano, & suo Ducato dall’anno 1629 sino all’anno 1632 di Alessandro Tadino, membro, a quel tempo, del Tribunale di Sanità della città di Milano e considerato da Manzoni uno dei testimoni diretti più attendibili e precisi della peste di Milano.

Alcuni passi dell’opera del Verri suonano incredibilmente familiari e inquietanti, se letti alla luce di ciò che sta accadendo ancora oggi. Dal racconto, infatti, si evince che la maggior parte dei cittadini milanesi dell’epoca non voleva credere che la malattia fosse un fenomeno naturale ma piuttosto un artificio “malefico” inventato dai medici a scopo di lucro. Una tesi molto simile a quelle sostenute dai negazionisti in questi mesi: “L’opinione comune del popolo volle ostinatamente piuttosto credere essere la vociferata pestilenza un’artificiosa invenzione de’ medici per acquistar lucro, anzi che esaminare e chiarire il fatto […] Inutilmente i medici più istruiti divulgavano le prove degli ammalati che avevano veduti morire di pestilenza, che la plebe sempre li risguardava come autori di una malignamente immaginata diceria”.

La Peste di Milano, 1630

Anche le immagini, ormai entrate nella storia, con la fila di camion dell’esercito che mercoledì 18 marzo 2020 hanno trasportato le bare di numerose persone morte di Covid-19 dal cimitero monumentale di Bergamo, la città italiana più colpita dalla pandemia, ai forni crematori di altre città, non sembrano inedite, se confrontate con il fatto riportato in questo passo da Verri: “Convenne finalmente col crescere della peste e il moltiplicarsi giornalmente il numero de’ morti disingannare il popolo, e persuaderlo che il malore purtroppo era nella città, e laddove i discorsi nessun effetto producevano, si dovettero far manifesti sopra gran carri gli ammassi de’ cadaveri nudi aventi i bubboni venefici, e così per le strade dell’affollata città girando questo spettacolo portò infine la convinzione negli animi, e forse propagò più estesamente la pestilenza”.

Bergamo, marzo 2020

Come sappiamo, gli effetti della peste in quegli anni furono molto più tragici di quelli causati dal Covid-19, e così le reazioni della popolazione, che divenne sempre più esasperata e inferocita. Eppure, quasi quattrocento anni dopo, anche noi dobbiamo fare i conti con negazionisti e complottisti che negano l’esistenza del virus o sostengono sia stato creato apposta, giudicano le mascherine inutili e dannose per salute, ritengono false le immagini con le bare dei morti di Covid-19 trasportate dai camion e accusano le ambulanze di girare a vuoto per le città per incutere timore alle persone. Cambiano le cause bizzarre (antenne 5G, laboratorio segreto a WuhanBill Gates) a cui viene attribuita l’epidemia, ma non la necessità di inventarsi spiegazioni irrazionali per esorcizzare la paura, oggi come nel 1630. Lo dimostrano le suggestioni e le credenze popolari che circolavano all’epoca sulla peste, riportate anche in questo caso nel saggio del Verri: “La pestilenza andava sempre più mietendo vittime umane, e si andava disputando sulla origine di quella anziché accorrervi al riparo. Gli uni la facevano discendere da una cometa che fu in quell’anno osservata nel mese di giugno truci ultra solitum etiam facie [d’aspetto più spaventevole ancora dell’usato], come scrive il Ripamonti. Altri ne davano l’origine agli spiriti infernali”.

Alla negazione della pandemia e alle teorie complottiste, hanno fatto seguito, nelle ultime settimane, gli scontri, le proteste (pacifiche e non) e gli atti vandalici che hanno interessato tutte le maggiori città italiane, in risposta alle nuove restrizioni emanate dal governo. In una situazione così delicata e incandescente, l’estrema destra e le frange più violente della società ne hanno approfittato per soffiare sul fuoco e aggiungere violenza alla disperazione e alle difficoltà economiche. Anche in questo caso, il saggio di Pietro Verri ci svela che all’epoca della peste successe all’incirca lo stesso: “In una parola, tutta la città immersa nella più luttuosa ignoranza si abbandonò ai più assurdi e atroci delirj, malissimo pensati furono i regolamenti, stranissime le opinioni regnanti, ogni legame sociale venne miseramente disciolto dal furore della superstiziosa credulità; una distruttrice anarchia desolò ogni cosa, per modo che le opinioni flagellarono assai più i miseri nostri maggiori di quello che lo facesse la fisica in quella luttuosissima epoca […] Cento quaranta mila cittadini Milanesi perirono scannati dalla ignoranza”.

Anche lo scrittore Albert Camus, con il suo famoso romanzo La peste, ci aveva ammonito riguardo ai rischi sociali di un’epidemia e all’importanza di non sottovalutarla. La sua opera, che in questi mesi è tornata in cima alle classifiche di vendita nel mondo, contiene al suo interno frasi e descrizioni che si adattano perfettamente alla situazione attuale e per questo considerate quasi premonitrici.

Albert Camus, foto di Jared Enos

Nonostante la grande mole di documenti, libri e testimonianze riguardo alle pandemie scoppiate nel corso della storia che abbiamo a disposizione, la proliferazione di teorie complottiste e di gruppi di negazionisti negli ultimi tempi dimostrano davvero che le storia spesso, anche se in forme diverse, si ripete e che per le persone è più facile credere a un complotto che accettare la verità. “Corsi e ricorsi storici” affermava lo storico Giambattista Vico, e con queste parole lo studioso napoletano del Settecento non intendeva una ripetizione sempre uguale delle fasi storiche, ma piuttosto la constatazione che l’uomo resta sempre uguale a sé stesso, pur nel cambiamento delle situazioni e dei contesti storico-politici in cui è immerso. Quello che, forse, ci sorprende di più è la sopravvivenza di forme di superstizione e di negazionismo così forti e radicate, nonostante gli enormi progressi compiuti dalla scienza dal 1600 ad oggi. Eppure, dopo l’elezione di Donald Trump come 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America, negazionista amplificatore di fake news per eccellenza, dovremmo aver imparato a non meravigliarci più di nulla: tutto è possibile e niente è più scontato in questo 2020.