Negazione Marco e la sua band

Punk’s not dead
di Luca Valtorta
Un nuovo libro intitolato “ Collezione di attimi” racconta tra testi, foto, immagini la storia di uno dei gruppi più importanti del punk italiano Con loro Mathieu, giornalista di Repubblica da poco scomparso
Torino, primi anni 80. Un gruppo di ragazzi si incontra e si mette a suonare. Decidono di chiamarsi Negazione, un nome potente: « Volevamo esprimere il rifiuto di ciò che vivevamo, in modo netto e totale. Corrispondeva alla nostra visione del mondo in quegli anni, alla rabbia che esprimevano i nostri primi testi, alla violenza della nostra musica » , racconta Tax (Roberto Farano), chitarrista e autore delle parole di molti brani della band. Insieme a lui Guido “ Zazzo” Sassola alla voce e Marco Mathieu al basso, divenuto poi giornalista di Repubblica, venuto a mancare alla vigilia di Natale dell’anno scorso. Questi tre elementi resteranno fissi in tutto l’arco della storia dei Negazione mentre il batterista cambierà molto spesso: ce ne saranno addirittura nove, il più “storico” sarà Fabrizio “Fabri” Fiegl (venuto anch’egli a mancare nel 2011) mentre dal ’90 al ’91 subentrerà Giovanni Pellino detto Neffa che in seguito diventerà famoso nella scena hip hop.
I Negazione sono forse la massima espressione italiana del punk ( nella sua variante più dura e veloce, l’hardcore). Un movimento che nasce a metà anni 70 più o meno in contemporanea negli Stati Uniti con gli Stooges di Iggy Pop, i Voidoids di Richard Hell, i Dead Boys, i Ramones e in Inghilterra con gruppi come Sex Pistols, Clash, Buzzcocks, Damned. Da lì poi si trasmette ovunque.
Spiegare che cosa è stato il punk è la cosa più facile e più difficile del mondo. La più facile perché in una frase si potrebbe dire che il punk è il modo più immediato di esprimersi che la musica abbia mai concepito: non c’è bisogno di saper suonare, basta prendere in mano uno strumento, il resto verrà dopo. La cosa più difficile, perché non solo il punk ha mille sfaccettature e, con il tempo, sottogeneri, ma perché il punk non è solo musica: è cultura, è politica, è rifiuto. Ma anche (auto)affermazione. È un movimento che fa leva principalmente sull’etica, che dice di voler distruggere ma che in realtà nasce per costruire, per dare un’alternativa soprattutto a chi nasce in una squallida periferia di una città che non offre nulla ai più giovani se non un divertimento spesso grossolano e conformista, noia, droghe (erano gli anni terribili dell’eroina) oppure soluzioni legate alla criminalità. Il punk nasce come alternativa a tutto questo, come modo di sopravvivenza che i ragazzi costruiscono per i ragazzi: è questa la famosa etica del “ Do it yourself” a cui si ispira prima il punk e poi la cosiddetta scena “ indie” ( indipendente) che ne raccoglie l’eredità. Quindi niente case discografiche, niente manager, niente locali al di fuori del circuito underground che nel tempo si svilupperà sempre di più fino a costituire un vero e proprio network mondiale tale da permettere a band come i Negazione di suonare in tutta Europa e anche negli Stati Uniti. Un’eredità che arriva fino a oggi con Zerocalcare che dichiara: «Ho iniziato a disegnare facendo locandine di concerti punk da quando ho sedici anni. Il punk è parte della mia vita» e che nel suo graphic novel del 2020, A Babbo morto, inserisce proprio la citazione di un testo dei Negazione come commosso ricordo del popolo dei folletti per Clementina, una folletta uccisa mentre fugge durante un’irruzione della polizia. Dice: “ Non rimarrà niente di quello che siamo/ ribelli al nostro destino/ piccola minaccia in un tempo sbagliato”. « Zerocalcare è stato davvero corretto » , spiega Tax, « ci ha contattato per chiederci il permesso di utilizzare per una citazione il testo del brano, Un amaro sorriso.
Quel testo era di Marco. E, tra l’altro, era il suo preferito».
Preservare la memoria di quello che sono stati i Negazione, di quello che è stato il punk dunque non è importante solo per Marco, per raccontare chi è stato per dieci anni della sua vita, ma lo è anche per la nuove generazioni, per spiegare che si può avere una chance anche se si cresce, in apparenza, senza possibilità. Questo libro dunque ovviamente è una dedica a lui ma è anche molto altro. Marco, come racconta Tax, ha capito attraverso la musica e nell’occuparsi anche dei testi, che voleva fare un’altra cosa nel suo futuro: scrivere. E così è diventato giornalista, scrittore (un libro su Manu Chao e uno su Casa Pound) e anche autore di documentari come Socrates, uno di noi, realizzato con Mimmo Calopresti. La sua curiosità lo portava da una cosa all’altra ma se uno guarda alla storia di Marco c’è sicuramente un filo rosso che unisce le varie fasi, che è quello, appunto, dell’etica del punk fatta di lavoro duro, di attenzione agli ultimi e, come insegnava proprio Manu Chao, alle piccole rivoluzioni dentro di sé e poi a quelle che da lì procedono per modificare in meglio la tua microrealtà a partire dal quartiere in cui vivi (il “barrio” tanto cantato da Manu Chao). «Marco è come se avesse vissuto cinque vite in una», racconta Tax, «per questo abbiamo voluto, attraverso un libro, raccontare almeno la prima di queste vite, che è quella che noi conosciamo. Lo abbiamo fatto mettendo insieme scritti, appunti di viaggio, volantini e poster dei concerti, testi delle canzoni, diari e fotografie. Il merito principale è di Deemo ( vero nome, Nicola Peressoni) che ha accompagnato per molti anni i Negazione sulla strada. Oltre ad aver fatto la grafica di molte cose nostre, è stato uno dei primissimi graffitisti nonché fondatore di Isola Posse, una delle formazioni che hanno dato vita alla scena hip hop italiana ».
Questo gigantesco volume di 376 pagine di grande formato, intitolato Collezione di attimi, è il modo giusto per raccontare una storia perché le sole parole non sarebbero sufficienti, bisogna vedere le immagini: giubbotti di pelle, bandana, concerti di cui si percepisce la potenza e in cui anche il pubblico è protagonista con gente che balla, si butta dal palco, risale creando anche in questo caso una nuova ritualità così come una nuova, inconfondibile grafica: bianco e nero, ritagli, collages, volantini scritti a mano, riviste autoprodotte (le “fanzines”, anzi, in questo caso chiamiamole “ punkzines”) per raccontare la scena, come la famosa T. V. O. R. ( Teste Vuote Ossa Rotte).
Perché il centro della vita dei Negazione erano, ancora più dei dischi, i concerti e quindi la strada e la sua eterna idea di libertà: « Non guadagnavamo niente » , spiega ancora Tax, «lo facevamo per la soddisfazione di conoscere altra gente e per la felicità di stare sul palco. Se andava bene dormivi in uno squat oppure, visto che spesso suonavamo con altre band, a casa di uno del gruppo. Solo in Germania ti davano un pasto e un letto. In Inghilterra dovevi arrangiarti, in America ancora peggio, dormivi sul furgone o non dormivi per niente » . Che cos’era il punk per voi? «Fare quello che volevamo esprimendo la nostra insoddisfazione per quello che ci stava intorno nel modo che consideravamo più spontaneo: la musica. Decidere cosa fare delle nostre vite insomma. Essere punk non stava nel giubbotto ma nel modo in cui vivevi. Non volevamo essere categorizzati in un contesto, nemmeno nel nostro. Ecco perché rifiutavamo anche una certa estetica del punk fatta di creste, di esisibizionismo, noi ci vestivamo normalmente».
Poi a un certo punto i Negazione hanno deciso di sciogliersi: «Non volevamo firmare per una major», continua Tax. Chi era Marco? «Una persona curiosa di tutto, che amava la vita e, per me, il migliore amico che abbia mai avuto. All’inizio i testi li scrivevo soprattutto io ed erano più oscuri, pessimisti, poi ha iniziato a scriverli Marco e i suoi si contraddistinguevano perché c’era sempre una luce » . Come in “ Brucia di vita” o ne “Il giorno del sole” di cui Marco diceva che « Era e rimane la canzone dei Negazione. Le parole raccontavano un’intima speranza, diventare azzardo di futuro: perché ostacoli e difficoltà si potevano ( si possono!) superare, affermando quei valori che ci ritrovavamo in tasca». Ecco perché Marco, così come il punk, non sono mai morti davvero: perché quell’idea di speranza e di libertà non morirà mai.
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