Monsieur Saint Laurent va al museo

Disegnava i vestiti come Mondrian, li colorava come Van Gogh li rendeva eterei come Monet. A sessant’anni dalla nascita della maison, Parigi consacra lo stilista accanto ai capolavori
 Anais Ginori
PARIGI
Per il suo addio aveva scelto il Centre Pompidou. Vent’anni fa, tra lacrime e applausi, in passerella c’erano Naomi Campbell e Carla Bruni a ritmo di Satisfaction dei Rolling Stones e con Catherine Deneuve che intonava Ma plus belle histoire d’amour. Yves Saint Laurent torna al Pompidou: i suoi abiti saranno di casa per qualche mese in un allestimento che sposa alcuni dei capolavori del museo di arte moderna. Yves Saint Laurent aux musées non è solo un omaggio allo stilista rivoluzionario, scomparso nel 2008 e di cui ricorre l’anniversario della maison. Il 29 gennaio 1962, il giovane couturier firmava la sua prima collezione, cominciando a inventare forme che volevano dare un nuovo significato del mondo. È una conversazione tra moda e arte che si apre fino al 15 maggio in cinque dei più prestigiosi musei della capitale: Pompidou, Louvre, Orsay, musei Picasso e di Arte Moderna. Un pellegrinaggio a tappe, incontri prevedibili e imprevisti, per risalire all’origine della creazione del couturier. «Avevamo già celebrato tanti anniversari» ricorda Madison Cox, presidente della Fondazione Pierre Bergé- Yves Saint Laurent, parlando della retrospettiva allestita nel 2010 al Petit Palais. « Non volevamo ancora prendere uno spazio vuoto, arredarlo con vestiti e scenografia. Abbiamo cercato di fare qualcosa di diverso».
I commissari Mouna Mekouar e Stephen Janson hanno avviato un dialogo con alcuni responsabili di musei all’inizio della pandemia, quando molti luoghi culturali erano chiusi e non c’erano più visitatori. «Sapevamo di proporre qualcosa di inedito, ma la risposta è stata subito molto positiva » ricorda Cox, parlando di riunioni intere fatte su Zoom per cominciare ad immaginare possibili abbinamenti. Nel museo immaginario del couturier si può viaggiare tra epoche e civiltà. Le antichità greche ed egiziane, così come le civiltà indiane, cinesi e africane, alimentavano il suo genio quanto Van Gogh, Watteau, Ingres, Delacroix o Vermeer. Nessun conservatore, neppure al Louvre, dove lo stilista è accolto nella Galerie d’Apollon voluta da Luigi XIV, ha pensato a una profanazione. Saint Laurent era già stato il primo stilista a entrare in un museo: nel 1983 i suoi abiti furono esposti al Metropolitan Museum di New York.
Da allora tante celebri maison di moda hanno aperto propri musei e fondazioni d’arte ma quello che va in scena fino al 15 maggio a Parigi è il tentativo riuscito di abbattere muri e categorie. L’inserimento degli abiti di Saint Laurent all’interno di collezioni permanenti, spiega la commissaria Mekouar, è stato concepito come una “punteggiatura” nel fraseggio delle opere. Di museo in museo, emergono storie diverse che raccontano l’origine di creazioni senza tempo di cui colpisce la modernità. Possono essere folgorazioni a distanza come accadde con la monografia di Michel Seuphor dedicata a Piet Mondrian. Lo stilista aveva ricevuto il libro dalla madre. Ecco quindi che al Pompidou, accanto a una composizione dell’artista olandese del 1937, appare il famoso abito da cocktail che ne riprende colori e geometrie. Saint Laurent trasmette la potenza dell’opera trasformandola in un oggetto tridimensionale. «Solo i rapporti puri, di puri elementi costruttivi, possono portare alla bellezza pura» teorizzava Mondrian. Una visione applicata alla haute couture. La collezione del 1965 ebbe un successo senza precedenti, contribuì alla scoperta dell’artista olandese, ignorato dai musei francesi fino alla sua prima retrospettiva all’Orangerie del 1969.
La scelta del Pompidou è stata la più evidente. Lo stilista ne era un assiduo frequentatore e mecenate insieme al compagno Pierre Bergé. Il percorso è indicato in un opuscolo, ma la visita può diventare una caccia al tesoro, lasciandosi sorprendere da una mantella in pelliccia verde discretamente appesa vicino a un dipinto di Martial Raysse. « Ci sono dialoghi esplicitamente rivendicati da Saint Laurent, ma anche accoppiamenti visivi che ci siamo permessi di fare» racconta Marie Sarré, conservatrice del Pompidou. Ecco anche un abito in jersey, «l’unico materiale moderno» secondo lo stilista, ispirato al lavoro di Tom Wesselmann, che dialoga con un quadro di Gary Hume, membro del gruppo Young British Artists, che pure si riferiva al pittore americano.
L’incontro con Picasso nel museo del Marais non poteva mancare. I “ periodi picassiani” di Saint Laurent sono tra i momenti più espliciti della sua rilettura delle arti. Nel 1979, dopo aver visitato una mostra dedicata ai Ballets Russes alla Biblioteca Nazionale, dedica la collezione autunno- inverno al pittore. È concepita come un balletto, ricamando sugli arlecchini, il periodo blu, quello rosa.
Dieci anni dopo, reinterpreta il linguaggio cubista. I suoi abiti, presentati in contrappunto a una selezione di opere di Picasso, danno un’idea del suo
modus operandi
basato su giochi di trasposizione, mimetismo, diversione o reinvenzione.
Nel cuore del Salon de l’Horloge al Museo d’Orsay, c’è l’omaggio a Marcel Proust. «A diciotto anni ho cominciato a leggere
Alla ricerca del tempo perduto
» confidava Saint Laurent. «Spesso torno al libro, senza finirlo». Come il romanziere, era affascinato dalle « percezioni di un mondo in transizione » . La fondazione Pierre Bergé- Yves Saint Laurent ha portato dai suoi archivi gli abiti disegnati per il Bal Proust organizzato dai Rothschild nel 1971 e poi le variazioni dello smoking femminile, trasgressivo e proposto come alternativa all’abito da sera.
«Per me – sosteneva lo stilista – niente è più bello di una donna vestita da uomo». La Galerie d’Apollon al Louvre è uno scrigno che abbina i gioielli reali a quattro preziosissime giacche ricamate come fossero alta oreficeria. Cristalli, fili d’oro, specchi. « Quello che mi piace sopra ogni cosa è fare come se potessi scolpire la luce» ripeteva il
couturier.
In una vetrina appare il cuore di strass che Saint Laurent faceva indossare ad ogni sfilata. La scenografia è minimalista. Gli abiti sono presentati senza accessori. «È una scelta dettata dal massimo rispetto per la sua professione » spiega il commissario Stephen Janson. «Nel suo modo di lavorare tutto è studiato al millimetro, la precisione del taglio, l’armonia delle proporzioni e la qualità delle finiture diventano
ragioni d’essere».
Saint Laurent era anche un grande collezionista insieme al compagno Bergé. La coppia viveva circondata da opere di Brancusi, Léger, De Chirico, Ingres, Klee, Cézanne, Picasso, Mondrian, Goya e molti altri. « Questo modo di vivere quotidianamente con l’Assoluto era senza dubbio, per lui, un modo di allontanare la caducità della moda» osserva Mekouar. Accanto alla collezione personale, c’era una sterminata biblioteca. Centinaia di cataloghi e libri d’arte. Un repertorio iconografico di cui una parte è ancora conservata nella sede della
maison
ora Museo Yves Saint Laurent, avenue Marceau. L’hotel particulier dietro all’Arco di Trionfo, tra marmi e boiseries in stile Secondo Impero, apre e chiude il percorso dell’omaggio al couturier presentando tanti suoi disegni, e altri abiti che testimoniano del suo gusto per l’arte come la giacca ricamata con girasoli dedicata a Van Gogh. Per il couturier non si trattava semplicemente di subire una qualche influenza, ma di cambiare paradigma via via che battezzava sfilate in onore ad artisti: Mondrian nel 1965, Wesselmann e la Pop Art nel 1966, Picasso nel 1979, Matisse nel 1980, Braque nel 1988. «Non li ho copiati» sosteneva lo stilista. «Chi si azzarderebbe a farlo?» aggiungeva, ben sapendo che la risposta non era chiusa e poteva aprire infiniti spazi di creazione.
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