Misteri e bugie della sinistra italiana, Walter Pedullà racconta i suoi 90 anni

Fratelli socialisti? Per modo di dire. Già, proprio così, i due grandi esponenti della sinistra italiana entrambi antifascisti, entrambi con anni di galera sulle spalle, Sandro Pertini e Pietro Nenni, dietro la solidarietà di facciata, nel dopoguerra le coltellate se le scambiavano, eccome. «Nenni non mi infinocchia più, ho scoperto il suo segreto ma lui non lo sa», spiegò il futuro Presidente della Repubblica italiana rendendo palesi i suoi rapporti con il leader storico del Psi. «Se mi incontra e mi appella con il cognome, Pertini, sto tranquillo. Se invece mi chiama Sandro, capisco che intende fregarmi». A svelare misteri e bugie, odi e amori nella sinistra italiana è l’intellettuale socialista nonché critico letterario, giornalista e saggista Walter Pedullà: in prossimità dei suoi primi novant’anni – il 10 ottobre ci sarà la torta con le candeline – pubblica una bella e divertente autobiografia Il pallone di stoffa (Rizzoli, p. 544, e. 22).

Il professore, che ha insegnato in varie università – alla Sapienza di Roma dal 1970 al 2005 -, è un testimonial privilegiato della complessità politica e intellettuale  del secolo passato: come si evince dal sottotitolo del suo lavoro, Memorie di un nonagenario che evoca Le confessioni di un ottuagenario di Ippolito Nievo, ripercorre le sue esperienze con molta ironia e con un piglio un po’ ottocentesco e garibaldino. Pedullà è stato un grande animatore di cultura. Non c’è stato settore della vita intellettuale dove non si sia trovato ad agire in prima persona. Critico militante sulle pagine dell’Avanti!, ha fondato e diretto due riviste, L’illuminista Il caffè letterario, è stato responsabile di case editrici come la Lerici, direttore della Storia generale della letteratura italiana (Rizzoli) e della collana di classici Cento libri per mille anni, è stato presidente e membro di giurie letterarie, consigliere d’amministrazione e poi  presidente della Rai e del Teatro di Roma.

E ha sempre tenuto insieme impegno politico ed esercizio letterario. I suoi libri dedicati a scrittori come Svevo, Savinio, Gadda, Palazzeschi e Stefano D’Arrigo, le numerose raccolte di saggi sul futurismo e la neoavanguardia, sono sempre stati connotati da uno sguardo rivolto alla forza del messaggio sociale  veicolato dalla letteratura (come ne La rivoluzione della letteratura). Socialista fin da ragazzo, l’intellettuale nato a Siderno in politica si è sempre prodigato per cercare l’alleanza di tutta la sinistra: in questo impegno durato decenni è stato ispirato e sostenuto dal ricordo della tragica morte di suo fratello maggiore, comunista, avvenuta mentre tornava dalla lotta partigiana.

Uno spirito un po’ barricadero, anarchico ed eccentrico, però, non gli è mai mancato nemmeno nelle sue esperienze più istituzionali.  Assistente molto vicino al metodo interpretativo del suo maestro, il grande saggista Giacomo Debenedetti, Pedullà nel libro ricostruisce fatti e misfatti di decenni di vita culturale italiana: racconta, sempre con humour ma anche con un pizzico di malinconia, come i compagni comunisti alleati con i democristiani impedirono l’ascesa accademica di Debenedetti che peraltro era un sostenitore del partito di Togliatti.  Ripercorre le scaramucce con Calvino e Pasolini che protestavano contro le sue riserve di critico, o le incomprensioni con Alberto Moravia, il quale, se messo di fronte ad alcuni sui limiti narrativi,  fingeva di essere più sordo di quanto non fosse in realtà.

Descrive le pastette di Premiopoli che negò ogni riconoscimento alle bellissime opere di Beppe Fenoglio sulla Resistenza solo perché era stato partigiano azzurro e non rosso. Ma narra anche le difficoltà economiche che i premi si trovarono ad affrontare. Così il Viareggio, per esempio, a corto di quattrini addirittura si autofinanziò con soldi pubblici versati da un ministro che, pur di veder incoronato il suo saggio con quel prestigioso alloro, offrì, in contanti e in nero, un milione di vecchie lire ai responsabili del certamen della Versilia. Dietro tanti incarichi, libri e stellette culturali ottenute dal professore calabrese, c’è comunque un’enorme, incredibile mole di lavoro: «Ho rubato ore al sonno. Per decenni non ho dormito più di cinque ore per notte. Solo una piccola parte dei sogni è diventata realtà, ma non è soltanto per colpa mia se i rimanenti si sono fermati allo stato onirico: ho fatto troppo ma non abbastanza». Auguri dunque caro prof, perché facendo troppo ha dimostrato una grande amore per la cultura e la letteratura.

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