di Fiorenza Sarzanini
Il responsabile del Comitato tecnico scientifico:
bisognava riorganizzare i trasporti, noi inascoltati
Roma
Dottor Agostino Miozzo, una settimana fa lei — coordinatore del comitato tecnico scientifico — aveva chiesto di riaprire le scuole e invece tutto è rinviato. Il suo appello è caduto nel vuoto?
«Più che il mio appello o la mia personale battaglia ideologica, sono le indicazioni delle maggiori organizzazioni delle Nazioni Unite come Who, Unesco e Unicef, oltre che le decisioni di Paesi che non mi sembrano Stati sottosviluppati dell’Africa centrale come Francia, Regno Unito e Germania. Tutti concordi: le scuole devono, non possono ma devono, restare aperte».
Invece si va a gennaio.
«Il 7 gennaio è giovedì, quindi ci sarà un probabile slittamento a lunedì 11. In ogni caso l’indicazione di riapertura a gennaio non è garantita, visto che non abbiamo alcuna certezza sullo sviluppo della pandemia. E poi c’è Natale di mezzo».
Che cosa teme?
«Se nelle festività avremo momenti analoghi a quelli vissuti nell’estate appena trascorsa, l’evoluzione dell’epidemia porterà a dati simili o addirittura peggiori di quelli attuali. Significa che le scuole rischiano di restare chiuse altre settimane. Avremo una generazione di liceali che andrà all’esame di Stato a giugno avendo perso il contatto fisico con l’universo scolastico per quasi un anno. È un danno incommensurabile».
Quanto influiscono i contrari all’interno del Cts?
«Tra noi alla fine si trova la sintesi equilibrata dei diversi punti di vista e di analisi. Il 20 novembre dopo la videoconferenza con il direttore regionale dell’Oms di Copenaghen, Unesco e Who Ginevra, abbiamo condiviso l’esigenza di far tornare i ragazzi a scuola in presenza il prima possibile».
Anche a rischio di un aumento dei contagi?
«I dati ci dicono che i contagi in età scolastica non sono significativamente diversi da quelli di altre classi di età e non abbiamo evidenze per capire se siano avvenuti a scuola o fuori. Vorrei ricordare che il 4 marzo scorso il Cts chiese al governo di chiudere le scuole seguendo le indicazioni della comunità scientifica internazionale, ma all’epoca non avevamo le regole attuali. E poi non sottovalutiamo il ruolo degli insegnanti».
Che vuol dire?
«Sono gli unici a poter far comprendere ai ragazzi il rischio potenziale che rappresentano per i congiunti. È un tema formativo, un messaggio particolarmente difficile da dare».
Secondo lei le scuole chiuse non hanno contribuito a fare scendere la curva?
Gli spostamenti
I movimenti tra regioni? Diremo sì
solo con una curva
davvero in discesa
«Tecnicamente il lockdown è la soluzione migliore, e paradossalmente la più semplice, per ridurre la curva e le possibilità di contagio. Peccato che questa soluzione estrema non prenda in considerazione gli effetti devastanti che provoca sulla popolazione che subisce le restrizioni. Forse bisognerebbe rileggere quello che avevamo suggerito proprio per far sì che le scuole aperte non avessero particolare impatto sulla curva».
Vuole ricordarlo?
«Riorganizzazione del trasporto pubblico locale, scaglionamento degli orari di ingresso, monitoraggio sanitario. Siamo rimasti inascoltati e i ragazzi pagheranno gravi conseguenze».
Crede che la politica non si renda conto dei danni?
«Posso rispondere solo come cittadino e non in nome del Cts che ho l’onore di coordinare, consapevole che in questa delicata fase dell’emergenza le parole sono pietre e talvolta fanno molto male. Mi pare evidente che non ci si renda conto del disastro che si sta consumando nelle giovani generazioni, il devastante impatto sulla sfera psichica e sociale non è evidente immediatamente, ma lo sarà nel lungo periodo».
Sarete favorevoli all’apertura di negozi e ristoranti?
«Esamineremo il potenziale rischio epidemiologico, ma si tratta di decisioni politiche ed economiche».
E sul divieto di spostamento tra le Regioni?
«La mobilità è un elemento di grande criticità. Diremo sì soltanto se ci sarà una curva davvero in discesa».
Che cosa teme di più?
«Se non saremo rigorosi nei controlli e nelle sanzioni, anche severe, avremo la stessa fotografia di questa estate e delle scorse settimane quando abbiamo visto l’assalto al grande magazzino con i prodotti in offerta. Se non saremo in grado di contenere e governare la corsa agli acquisti o il desiderio anche scaramantico di liberazione dal virus delle celebrazioni di Capodanno, alla fine di gennaio vedremo avverarsi le conseguenze della terza ondata come una “emergenza annunciata”».
Lei farà il vaccino?
Controlli rigorosi
Se non saremo rigorosi
a Natale e Capodanno, a fine gennaio vedremo gli effetti della terza ondata
«Certamente sì, mi prenoto già da ora. Non sono un virologo ma da esperto di gestione delle crisi dico che in situazioni come quella che stiamo vivendo, la comunicazione gioca un ruolo decisivo per vincere la guerra che stiamo combattendo. Indurre dubbi sulle armi universalmente conosciute per sconfiggere questo subdolo nemico è un grave errore che si paga. In emergenza il conto degli errori in genere è molto salato».