Milano , fiducia nella città che sale.

hsGetImage

di Vittorio Gregotti

Milano è una città sulla cui identità è molto difficile discutere, io dico almeno per tre ragioni: la prima è che le tracce insediative delle sue sovrapposizioni storiche millenarie si sono sovente reciprocamente annullate o nascoste ed i suoi monumenti storici si presentano molto spesso come delle sorprese urbane, nascoste (forse sin dall’inizio) come elementi collocati in condizioni contestuali del tutto eterogenee e modificati nel tempo. Persino il nostro celebre Duomo è una somma di iniziative diverse nel tempo, anche in contrasto stilistico fra loro, che hanno trovato un’unità nella memoria collettiva.
La seconda ragione, che è forse anche il segreto della sua grande capacità dinamica, è che Milano è una delle città europee che si sono mostrate più sensibili al mutamento proposto nell’ultimo secolo, prima dal capitalismo industriale connesso alle condizioni internazionali europee, poi dipendente dal globalismo finanziario globale.
La terza ragione è il suo complicato e sovente confuso rapporto con il proprio territorio in una continuità senza ordine, con insediamenti in continua espansione e trasformazione, attenta soprattutto allo sviluppo delle possibili iniziative imprenditoriali alle quali sembra si debba dare la massima possibilità ed indifferente però al contesto insediativo.
Tutto questo è sovente in contrasto con il fatto che Milano ha importanti centri universitari e di ricerche, è sede delle principali iniziative editoriali italiane di libri e di quotidiani e quindi di un ampio complesso di intelligenze culturali connesse a tali attività, ancora con importanti iniziative imprenditoriali o finanziarie e con la loro forte influenza sia nel dibattito politico che umanistico.
Proprio la mescolanza di tensioni culturali, politiche, amministrative, economiche, si sono sovrapposte e confrontate anche negli ultimi anni a tutti i livelli sociali con grande mobilità di successioni e di sovrapposizioni. E di questo sono visibili le tracce nel corpo fisico nella città, come nei luoghi di incontro.
Al di là della sua macroscala, il libro su Milano di cui parliamo oggi ( Milano. Expo 2015. La città al centro del mondo edito dall’Istituto Treccani) si impone simbolicamente con importanti illustrazioni che sembrano ambiguamente negare la mescolanza e le sovrapposizioni di cui ho parlato. Ambiguamente, dico, perché è la stessa opacità complessiva e cartolinesca delle fotografie che illustrano la città senza luoghi di affetto, senza persone, senza trasporto sentimentale, che evitano, con l’isolamento, ogni idea di contesto e caratterizzano il moderno solo con l’apparente aggiornamento grattacielistico.
C’è, anzitutto, una quasi radicale esclusione del Razionalismo architettonico milanese. Nel volume, il moderno è visto come movimento del «900» di Valori plastici mentre la città più recente è rappresentata solo dal prodotto professionale di archistar molto lontane dalla cultura del moderno (specie italiano) e dal materiale dell’immagine dell’Expo a cui è dedicata la prima parte delle illustrazioni.
Il supervolume non è solo questo; vi sono testi e materiali di grande valore su cui vale la pena di riflettere. È diviso in tre parti: la prima, di circa 250 pagine, è costituita (dopo che nei tre testi introduttivi l’Expo 2015 è imprudentemente annunciata come simbolo del futuro di Milano) da otto scritti di autori, come Carlo Bertelli, Ferdinando Mazzocca o Sandrina Bandera (che si è assunta anche la complicata responsabilità del libro), di grande esperienza e capacità nell’interpretazione dei materiali storici e dei capolavori dei musei e delle collezioni milanesi. Questa prima parte illustra la storia della città in capitoli che interpretano anche le ragioni sociali e culturali del capitale artistico che viene illustrato e discusso.
La seconda parte, di 340 pagine, è l’illustrazione fotografica di Milano di cui ho già parlato, che inizia con le foto dell’Expo in costruzione, ed a questo proposito meglio forse sarebbe fare un altro e diverso libro sugli interrogativi posti dall’area Expo una volta terminata la manifestazione alla Milano metropolitana. La terza parte, intitolata I musei , di 694 pagine, è costituita da illustrazioni accurate e ampie dei beni storico-artistici milanesi, pur con un limitato materiale per le arti visive del moderno e quasi nullo per l’autentica architettura della tradizione della modernità. A questo proposito eviterò qui di parlare di ciò che riguarda l’architettura dei nostri anni, non solo per la prova stilistica di ricerca pubblicitaria e di inutile bizzarria offerta dalla grande maggioranza dei padiglioni dell’Expo (e specie da quello italiano), ma anche per i suoi valori assai lontani dalla tradizione della modernità. Tornando alla prima parte del volume, vi sono — è vero — anche tre testi intorno al tema della Milano moderna che sono, però,tra i meno felici, sebbene illustrati da un gruppo di fotografie di piccolo formato ma di grande qualità.
Tra questi, il testo di Marco Romano, tuttavia, cerca giustamente da definire con l’idea di «antiesibizione» lo stile storico consolidato della città. In sostanza mentre la parte che riguarda il patrimonio storico è chiara e consolidata, quasi tutto ciò che riguarda lo stato attuale della città e la sua storia negli ultimi cinquant’anni è invece, nello stesso tempo, assai approssimativa sia socialmente che politicamente e di un ottimismo senza fondamenti per quanto riguarda lo stato attuale delle cose e il loro futuro.
Il mio commento vuole comunque mettere in luce che, in ogni modo, questo supervolume rappresenterà una testimonianza importante del modo, assai particolare ma prevalentemente dominato dalla visibilità mercantile, con il quale si guardava nei nostri anni alla città di Milano anziché criticamente al suo stato, al suo disegno urbano, al suo sviluppo e al futuro della sua società e dei suoi valori. Al di là di tutto questo, il libro testimonia in ogni modo la nostra fiducia in una Milano migliore, anche se non è ben chiaro quale sia questo futuro.