In occasione della scorsa Giornata mondiale del rifugiato, 20 giugno, l’UNHCR ̶ l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di migranti forzati ̶ ha reso noto che le persone costrette a fuggire per cause di forza maggiore dalle proprie regioni o dal proprio Paese nel 2016, avevano toccato la cifra di 65,6 milioni. Il numero enorme, oltre a riflettere un andamento in costante aumento negli ultimi dieci anni, segnala un nuovo, drammatico record mai eguagliato prima. Quello precedente, infatti, era stato raggiunto nel corso e subito dopo la Seconda guerra mondiale quando i profughi, gli esiliati, i fuggitivi, i richiedenti asilo, i deportati, assommavano a 50 milioni. Una quota che gli storici pensavano non sarebbe mai stata più superata.
Il popolo variegato dei migranti forzati ̶ un termine che sta lentamente, quanto giustamente, soppiantando anche nel linguaggio ufficiale quello di ‘rifugiato’ (che indica più uno status che una condizione temporanea) ̶ , raccoglie individui di ogni latitudine accomunati da un destino simile: l’insorgere di una situazione talmente grave da costringerli a lasciare le proprie case, i contesti, i lavori, gli affetti al solo scopo di salvarsi. Nel minuto circa impiegato per leggere fin qui questo articolo, ne sono fuggiti altri 20, oltre la metà dei quali (il 51%) è composta da minorenni (intorno a 33 milioni in tutto). Il popolo di questi minori in fuga, poi, si compone di una significativa fetta di bambini, tra gli 80 e i 100.000, che vagano per il mondo in cerca di un rifugio da soli, senza la protezione di un genitore, un parente, un adulto di riferimento, al massimo il conforto di qualche coetaneo. Nel gergo tecnico vengono definiti MSNA, Minori Stranieri non Accompagnati.
Il primo Paese al mondo per numero di fuggitivi è senza dubbio la Siria: 12 milioni di persone su una popolazione di poco più di 18 hanno lasciato le proprie case dall’inizio della crisi rifugiandosi in altre zone interne o all’estero. A seguire la Colombia (7,7 milioni), l’Afghanistan (4,7 milioni), l’Iraq (4,2 milioni) e il Sud Sudan (alla fine del 2016 erano 3,3 milioni, ma il numero ha continuato a crescere negli ultimi mesi a causa dell’inasprirsi della guerra civile e di una terribile carestia). L’Eritrea – che secondo il rapporto stilato nell’aprile del 2015 dal Committee to protect journalists, è il Paese meno libero al mondo, peggio della Corea del Nord – si segnala per il numero dei suoi 5 milioni di abitanti che al mese varcano i confini in fuga dalla dittatura instaurata dal presidente e primo ministro Issaias Afewerki, in carica dal 1993, anno dell’indipendenza dall’Etiopia: oltre 6000.
Come è facilmente comprensibile al solo leggere i nomi di questi 6 Paesi, i motivi alla base degli esodi forzati sono principalmente guerra, regimi dittatoriali, povertà e instabilità politica. Negli ultimi decenni, poi, si è aggiunto a questi fattori il fenomeno dei disastri ambientali che con sempre maggiore frequenza colpiscono enormi aree del mondo e che generano quelli che gli esperti chiamano con un neologismo eco-profughi. Nella triste lista dei pull-factor naturali figurano le carestie che hanno interessato ampie zone del Corno d’Africa, dell’Africa Sub-Sahariana e dell’Asia Minore (in molti casi provocate dall’impossibilità – causa guerre e conflitti – di coltivare la terra e di allevare il bestiame più che da problemi di siccità), le alluvioni ricorrenti (il Bangladesh, solo per citare un esempio, deve costantemente fare i conti con inondazioni fluviali – Dhaka, la capitale, sorge alla confluenza del Gange e del Brahmaputra – e marittime, che producono distruzione e morte in uno dei Paesi più densamente popolati al mondo), l’inquinamento, e vari altri.
Ma, una volta lasciate le proprie case, dove si dirige il popolo dei fuggitivi moderni? In quali Paesi, aree, continenti ricevono rifugio quei 65,6 milioni di persone (già divenute, nella seconda metà del 2017, oltre 66 milioni)?
Come dimostra il report 2016 dell’UNHCR, avvalorato da altre statistiche di organismi che si occupano di migrazioni, la stragrande maggioranza dei migranti forzati resta nelle stesse aree da cui fugge per un semplice quanto scontato principio: chi scappa dalla propria casa spera di farvi ritorno al più presto. La top ten dei Paesi ospitanti migranti forzati vede al primo posto la Turchia (quasi 3 milioni) seguita da Pakistan (1,4), Libano (1,2), Iran, Uganda Etiopia, Giordania, Germania, Repubblica Democratica del Congo e Kenya. Il caso più eclatante di accoglienza di profughi è senza dubbio il Libano, un Paese più piccolo del Lazio, con 4,5 milioni di abitanti, cui si sono aggiunti, negli ultimi 6 anni, 1,2 milioni di transfughi siriani e iracheni (secondo alcune ONG operanti in loco, la cifra sfiorerebbe i 2 milioni).
È del tutto fuori luogo, quindi, parlare di invasione di migranti forzati in Europa, addirittura ridicolo riferirlo all’Italia: su 500 milioni di abitanti circa, nella UE accogliamo tra i 2 e i 3 milioni di fuggitivi, come la Turchia, poco più del Libano. In percentuale, neanche l’1% della popolazione. Nel 2015, un anno in cui si è abusato di termini come accerchiamento, assedio, o si è parlato di sistemi al collasso e si sono eretti muri, chiusi accordi e valichi, in Europa sono arrivati poco più di 1 milione di migranti forzati. Lo 0,2 della popolazione dell’intera UE. Nel 2016 sono ‘sbarcate’ in Italia 181.000 persone, in gran parte provenienti da Africa Sub-Sahariana, una percentuale risibile della popolazione residente. Solo il 6% di quella diaspora universale che sposta milioni e milioni di persone nel mondo approda in Europa.
Con ciò, non si vuole certo banalizzare o minimizzare il problema, né affermare che 181.000 persone sbarcate in Italia o 2 milioni e più richiedenti asilo o rifugiati giunti in Europa, non rappresentino una questione seria. Al contrario, si vuole favorire un dibattito sano, che parta da dati reali e li esamini scientificamente senza cedere a isterismi né ad analisi buoniste, nella certezza che la conoscenza approfondita dei fenomeni, delle loro origini così come dei loro protagonisti, possa giovare a tutti, non solo a chi cerca accoglienza.