di Andrea Greco
MILANO — Non sempre il vino corrisponde al giudizio del venditore. Ma le cifre che giovedì Mediobanca — consulente del Tesoro per trovare compratori a Mps — ha illustrato ai consiglieri senesi sono da Brunello d’annata. I “Materiali di discussione” (ma «riservata e confidenziale») li avrebbe presentati il potente banchiere d’affari Francesco Canzonieri, per cui chiunque compri Mps creerà tra 5,2 e 7,8 miliardi di «nuovo valore»: da 4,3 e 6,5 volte quel che Mps quota in Borsa (-2,9% ieri).
Uno scenario opposto a quello che spaventa gli azionisti di Unicredit, con cui il Tesoro — sceso al 64,23% di Mps con l’avvenuta scissione di 8,1 miliardi di crediti acidi ad Amco — intesse da luglio una trama. Ed è proprio la difficoltà di trasformare in pratica la grammatica, contro mercati, sindacati e mezza politica italiana (M5s al governo e molta opposizione) a spiegare l’arcano. Alla forchetta si arriva sommando una serie di fattori, legati sia al riassetto che attenderebbe Mps dopo una fusione sia alle misure con cui il governo agevola la riprivatizzazione. Mediobanca ritiene Mps post fusione (non necessariamente con Unicredit) farebbe tra 290 e 482 milioni di utile netto in più: somma composta di risparmi sul personale fino a 525 milioni, minor costo della raccolta fino a 173 milioni, e 160 milioni di margine d’interesse in più. A un multiplo di 10 tali utili aggiungono da 2,9 a 4,82 miliardi di capitalizzazione, cui l’analisi somma fino a 854 milioni per una maggior “densità” degli attivi di rischio sul capitale, e 2,2 miliardi di crediti d’imposta che un articolo della Finanziaria consentirà di capitalizzare in caso di fusioni nel 2021: e si arriva ai 5,2-7,8 miliardi del totale.
I benefici stimati per le Dta sono un indizio che la fusione “pilota” per Mps (e Mediobanca ci lavora da mesi) è con Unicredit: la sola che trasformerebbe in capitale tutti i 3,7 miliardi lordi di incerte attività fiscali. Sul punto tra l’altro M5s ha annunciato battaglia, con un emendamento che limitava a 500 milioni i benefici ex “Dta”: ieri però è stato inserito tra gli inammissibili dalla Commissione bilancio della Camera, per motivi di copertura. Ora si prepara un altro simile emendamento, di Leu, che se fosse ammesso, e poi votato, limiterebbe a 463 milioni i benefici nel 2021, e a 1,31 miliardi nel 2022, «in linea con la dotazione del Fondo istituito» dal Tesoro. La presentazione di Mediobanca, chiesta dal cda giovedì, pare una mossa dei consiglieri favorevoli alle nozze (la maggioranza che fa capo alla presidente Patrizia Grieco) per evitare il piano in solitaria che l’ad Guido Bastianini sta abbozzando con Oliver Wyman, ma difficilmente potrebbe consentire al Tesoro di ricapitalizzare i 2 miliardi del “buco” prospettico senza suscitare i rilievi dell’Antitrust Ue.
Sul fronte Unicredit, che ieri (+0,4%) ha fermato il ribasso dopo due sedute costate oltre 2 miliardi in Borsa, il passo indietro di Jean Pierre Mustier potrebbe complicare la strada verso Siena. Ieri il comitato nomine Unicredit ha avviato l’iter di successione, ragionando sulle caratteristiche del board al rinnovo tra sei mesi e del successore: esperienza consolidata e internazionale nella banca commerciale, rapporti con le istituzioni romane ed europee. Dalla banca si fa sapere che l’ad avrà «massima priorità»: ma non è detto che, come chiedono i sindacati, il profilo giusto esca prima di Natale.
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