“Non sono cambiato, sono sempre io…”. Eppure la forza polemica delle bordate con cui Enrico Letta infrange un anno di studiato silenzio ha sorpreso tanti, scatenando interpretazioni non autorizzate sul futuro prossimo dell’ex premier. È tornato per costruire l’alternativa? Si candida a guidare le varie anime della sinistra antirenziana? In altri tempi avrebbe lasciato correre malizie e congetture. Ma il trauma della staffetta deve averlo cambiato almeno un po’ se il direttore in pectore (da settembre 2015) della prestigiosa scuola di Parigi, Sciences Po, risponde al Corriere da Cagliari e spazza via gli interrogativi: «Non c’è nessuna candidatura a niente. C’è solo la voglia di presentare un punto di vista diverso rispetto al conformismo di questo tempo e penso di avere la libertà di farlo. Dalle reazioni, vedo che c’è bisogno. Lo faccio con la forza necessaria perché altri prendano coraggio». Il libro Andare insieme, andare lontano e le interviste con cui lo sta lanciando hanno suscitato interesse e provocato anche recensioni antipatizzanti, di cui lui non sembra curarsi: «Non sto attento al day-by-day. Dicendo che occorre ripristinare Mare Nostrum non mi sono inventato niente. C’è nel mio libro, lo ha scritto Romano Prodi in un bellissimo pezzo sul Messaggero , lo ha detto anche il Papa. È una tesi che ha titolarità». Lei scrive che quella dell’Ulivo è stata forse la migliore classe dirigente dell’era repubblicana, ha sentito Prodi e Bersani? «Non ho sentito nessuno, ma d’altra parte (ride, ndr) non ho da riallacciare contatti». E qui Letta saluta perché lo aspettano al T-Hotel per la prima presentazione del saggio, nel quale condanna la politica alla House of Cards e piccona le colonne della narrazione di Renzi: «Con il “lo vuole la gente” si sono commesse le peggiori nefandezze, da Gesù a Barabba in poi». E mentre il tour si infittisce di tappe (Bergamo, Brescia, Vicenza, Trieste), lui parla. Intervistato da Financial Times e Les Echos, concentra le critiche al governo sul soccorso ai migranti. Poi va da Giovanni Minoli a Radio 24 e fa a pezzi lo «storytelling» con cui Renzi racconta un Paese che non c’è: «Non aiuta a stare meglio, è metadone». Metafora «pericolosa e ingenerosa», restituisce la botta Michele Anzaldi, deputato Pd. Ma Letta vuole convincere gli italiani a togliersi le lenti del conformismo, perché questo «non sia un tempo in cui la percezione conta più della realtà». Nella minoranza del Pd, e non solo, c’è chi guarda all’ex premier per riempire un vuoto di leadership. E a destra c’è chi si esercita sul ritorno del ticket Letta-Prodi, ipotesi smentita dall’ufficio stampa del professore. Di certo c’è che l’ex presidente della Commissione Ue preferisce «il cacciavite di Letta al trapano di Renzi» e che ieri, quando gli hanno chiesto se il capo del governo è un «figlio dell’Ulivo», Prodi ha bruscamente chiuso la questione: «Non sono un ginecologo, io». La rentrée di Letta irrita i renziani. «Parliamo del presente», allontana il duello David Ermini. Rosy Bindi spera invece che il futuro arrivi in fretta: «Enrico deve tornare a essere un combattente. Se il suo è un passo indietro per farne molti altri in avanti, questi passi devono arrivare presto». E Marco Follini, il cui libro La nebbia del potere sarà presentato il 18 maggio a Castenedolo (Brescia) da Letta e Bersani: «Se Renzi ha qualche tratto fanfaniano, Letta lo può affrontare dal lato che fu di Moro. Il quale, al netto dell’impressione che dava, era un combattente tenacissimo». A giudicare dalle prime sparate, Letta sta lavorando sui suoi punti deboli. La missione Triton? «È fallita». Il Jobs act? «È stato un passo avanti, però non sufficiente». «Voterà l’Italicum? «Vedremo come sarà. Solo il Porcellum è stato approvato a maggioranza stretta ed è stato un disastro». Le elezioni anticipate? «Se si votasse solo l’Italicum e poi si andasse alle urne sarebbe una sconfitta per tutti». Per costruire l’alternativa ci vuole tempo e Enrico Letta non è un velocista, come ammette con Kafka: «C’è un solo peccato capitale, l’impazienza. Per esso l’uomo è stato cacciato dal paradiso ed è per questo che non ci torna». Lui vuole tornarci e ha studiato a tavolino la strategia. Libro, dimissioni da parlamentare a settembre, rinuncia alla pensione e apertura, a ottobre, della Scuola di Politiche, dove insegnerà che «governare non è comandare». Monica Guerzoni