Massimo Cacciari “Mito e capopopolo tra Fidel e il Che”

di Cosimo Cito
Come l’amico Fidel Castro, Maradona è morto il 25 novembre. Come Fidel, Diego era come disse lui, «sinistro in tutto». Di piede, di fede, di cervello. E anche nella sua morte, secondo Massimo Cacciari, Maradona è stato «metafora e mondo».
Una coincidenza, Cacciari, che diventa un segno che li unisce per sempre.
«Oltre al 25 novembre e alla loro amicizia, Fidel e Maradona sono uniti dall’elemento mitologico che ha caratterizzato le loro vite. Si può dire che, consapevolmente o meno, sono state vite intessute sulla costruzione di una dimensione mitologica. Forse anacronistica, fuori tempo rispetto al nostro tempo».
Perché?
«Viviamo l’era della secolarizzazione, della desacralizzazione, e proprio per questo il mito, quando esiste e resiste, emerge con forza straordinaria. Fidel, ma anche Che Guevara e Maradona, hanno agito in campi diversissimi. Ma hanno avuto un forte punto di contatto, ossia l’appartenenza alla cultura latino-americana».
Solo lì, cioè, Fidel, il Che e Diego avrebbero potuto essere “miti”?
«Quella cultura, e la loro mitologia si trovavano, si toccavano e si appartenevano. L’esperienza politica del castrismo si è rivelata non esportabile, ma a Cuba si è caricata di un’enorme funzione, anche tragica.
L’appartenenza è una radice, contiene tutto, l’origine e lo sviluppo di un’idea».
La sua umanità, i suoi errori, non ne hanno sminuito il fascino.
«L’essere mito ha bisogno di umanità, di troppa umanità, di errori, del doppio tragico dell’eroe. Apollo è un dio diverso, perfetto, istruito, altero. Maradona era un Ermete, un Ulisse, era callidus , veloce di gambe e di pensiero».
Più che un pubblico, Maradona ha avuto un popolo con sé.
«Nessuno sportivo ha avuto un potere così grande e una grandezza così ingovernabile. Forse solo Muhammad Ali, e come lui Maradona ha vissuto un decadimento fisico che è parso determinato dal destino. Pelé no, lui è un eroe borghese, un calciatore grande e basta. Maradona è stato un capopopolo. Ed è morto in modo tragico, come Che Guevara.
Questo lo rende immortale. Non importa se la morte sia stata decisa in qualche modo dai suoi eccessi. Da eroe è stato vinto da un fulmine divino».
Contro l’Inghilterra nell’86 l’esibizione più alta del mito Diego?
«Certamente: i due gol, quello di mano e il mitico slalom fino alla porta avversaria, sono stati la rivelazione della doppiezza necessaria a farne un mito: la furbizia e l’irraggiungibilità».
Ha avuto un potere politico?
«Non c’è mai vera, grande politica senza il mito. E Diego ha radunato folle, costruito consenso».
Maradona sarebbe stato possibile senza Napoli?
«Ha segnato Napoli, e ha dato il via, allora, a un periodo di grandi speranze. C’erano fermenti culturali in città che crescevano di pari passo.
Diego senza Napoli non sarebbe stato Maradona, nel bene e nel male.
Altrove non sarebbe diventato ciò che è stato».
Lei, da tifoso del Milan, ha anche molto sofferto a fine anni Ottanta contro il Napoli di Diego.
«Sono stati anni indimenticabili.
C’era tanta suggestione nel dualismo tra Maradona e Van Basten, tra la follia sudamericana e il calcio cartesiano di Sacchi. Maradona era il bello, era impossibile tifargli contro.
Era stupendo. Ed era stupendo quel calcio».
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