di Andrea Bonanni
Il primo governo dell’Europa post lockdown nasce in Francia pensando al panorama politico profondamente trasformato che si prefigura per il prossimo futuro sul Continente. Il presidente Macron sposta leggermente a destra l’equilibrio della lista dei ministri del governo Castex in funzione di quella che immagina sarà la geografia elettorale delle prossime presidenziali, nel 2022.
Il recente voto delle Amministrative ha segnato anche in Francia l’ascesa dei Verdi, che ormai contendono con successo la bandiera della sinistra a un partito socialista sorpassato nei numeri e apparentemente afasico nei contenuti. Il partito centrista di Macron, La République en Marche, è andato male. Il presidente francese registra una emorragia di consensi apparentemente inarrestabile. Ma, grazie al particolare sistema elettorale francese basato sul doppio turno, Macron sa perfettamente che la sua unica speranza di essere rieletto è quella di arrivare al ballottaggio contro la destra populista e anti-europea di Marine Le Pen. Per questo, mentre lascia che a sinistra socialisti e verdi si contendano i voti, cerca di occupare saldamente lo spazio politico del centro-destra moderato, prevenendo una rinascita dei gollisti.
Se questa operazione dovesse riuscire, e se socialisti e verdi non riuscissero a definire un candidato comune per le presidenziali, il presidente uscente avrebbe buone probabilità di arrivare al ballottaggio come l’unico concorrente democratico ed europeista contrapposto alla destra anti-Ue della Le Pen. A quel punto, come già avvenne nel 2017, potrebbe incassare il voto anche dei verdi e di una buona parte dei socialisti.
Non a caso questo nuovo governo affidato all’ex gollista Castex, cerca di darsi comunque un’anima “verde” promuovendo al ministero per L’Ecologia l’ambientalista Barbara Pompili. E il famosissimo avvocato Dupont-Moretti, inaspettatamente insediato alla Giustizia, strizza l’occhio ai socialisti e alla militanza antilepenista. La scommessa di Macron è tanto schematica quanto azzardata. Ma il presidente francese si trova in una situazione paradossale.
Dopo tre anni all’Eliseo il suo ambiziosissimo progetto europeista, lanciato con il discorso della Sorbona del novembre ’17, comincia finalmente a trovare nella cancelliera Merkel un interlocutore disponibile e attento. La proposta franco-tedesca del Recovery fund ha riportato l’asse Parigi-Berlino al centro dell’elaborazione politica europea. La Brexit e le sbandate della presidenza Trump mettono in difficoltà la diplomazia transatlantica ed esaltano il ruolo della Francia come unica potenza nucleare e unico membro permanente del Consiglio di sicurezza che resta all’Europa.
Ma, proprio mentre la sua agenda esterna comincia a dare i frutti lungamente attesi, sul fronte interno Macron vede in seria difficoltà il tentativo di radicare il proprio movimento nella cultura politica dell’elettorato francese. Non è riuscito a soppiantare il gollismo sul fronte moderato, né ad assorbire l’ala meno ideologica del socialismo riformista, che si è fatta piuttosto affascinare dai verdi.
A questo punto, perché lo schema che dovrebbe riportarlo al ballottaggio contro la destra anti-europea funzioni, Macron ha bisogno di incassare sul fronte europeo quella svolta che ha sempre invocato e che ora sembra diventata finalmente possibile. Solo se il dibattito politico del 2022 sarà monopolizzato da un’Europa in piena trasformazione, che abbia superato la crisi pandemica e sia avviata verso la creazione di un nucleo più federale, il presidente uscente potrà distribuire le carte sul tavolo elettorale. Non a caso il primo semestre del 2022 sarà quello della presidenza francese della Ue. Macron dovrà arrivarci con il piede sull’acceleratore per vendersi come vittorioso protagonista della rivoluzione europea.