di Pierluigi Piccini
Ma è possibile che Salvini sia uscito di senno e abbia fatto una crisi al buio? Sembra francamente incredibile. Eppure una motivazione ci deve pur essere. Forse mettendo insieme l’accelerazione post elezioni europee e la forte richiesta interna alla Lega per un regionalismo differenziato ci potrebbero portare a capire qualcosa in più. È noto che i Governatori della Lega hanno spinto molto per ottenere questo cambiamento nell’organizzazione statuale dell’Italia e per onestà di cronaca non sono i soli. È sufficiente rileggere le dichiarazioni di De Luca, Governatore della Campania o del ministro Fontana per capire che il fronte era più esteso di quello che faceva riferimento strettamente al partito di Salvini. E come tale norma contrattuale del governo giallo verde non piacesse a Cinque Stelle che ha più volte tentato di bloccarne il provvedimento legislativo. Che lo abbia fatto in autonomia o sollecitato proprio dal capo della Lega è difficile dirlo, ma è possibile che ciò sia avvenuto. È chiaro che il movimento pentastellato non gradiva tale ipotesi di cambiamento dell’organizzazione dello Stato italiano, il suo elettorato è fortemente concentrato al Sud che da tale manovra sarebbe stato penalizzato. Lo stesso Salvini avrebbe avuto il suo potere considerevolmente diminuito, in una logica nazionale, dall’autorità locale dei Zaia & C. Sono stati proprio quest’ultimi, con ogni probabilità, ad accelerare la crisi convinti dell’impossibilità di alleanze governative differenti e fiduciosi che il risultato delle europee e probabilmente di quello nazionale, se fossero andati al voto, avrebbe permesso, senza ostacoli ulteriori, un disco verde all’autonomia regionale. Preoccupati altresì del cambio al vertice della BCE e dal ruolo che avrebbe potuto giocare Draghi una volta ritornato in Italia. Questa crisi di governo è tutta interna alla Lega e se tanto ci dà tanto i problemi di Salvini inizieranno proprio ora nella gestione post crisi nel suo partito. Ma è possibile ridurre tutto ad una lettura nazionale o c’è qualcosa di più? Personalmente credo che stiamo assistendo ad un passaggio storico inedito e non compreso fino in fondo dagli attori in gioco. Stiamo passando dagli Stati nazionali propri del diciannovesimo secolo a qualcosa di diverso, a forme di regionalismo e di autonomia territoriale più o meno vasta. Forme nuove che mettono in fibrillazione gli Stati storicamente più deboli e quelli dove la situazione statuale nasconde vere differenze identitarie. Forse è proprio questo che mette in relazione la situazione italiana con quella della Gran Bretagna, cos’è che frena la Brexit? Non è forse il fatto di una possibile frammentazione fra l’Inghilterra, la Scozia, il Galles e l’Irlanda del Nord. Non è forse il problema della Spagna? E la Germania con la parte della ex DDR non sta vivendo gli stessi problemi? L’unico Paese che non sembra risentire di questo spezzettamento dovuto, in buona parte, agli attuali sistemi economico-finanziari (Grundrisse, Marx) sembra essere solo la Francia. Paradossalmente il cosiddetto sovranismo nasconde al suo interno spinte centrifughe che mal si adattano alle vecchie forme degli Stati nati nell’Ottocento. Il Pd in questo senso sembra rappresentare una sicurezza per l’unità nazionale, e per i rapporti con la Comunità Europea. Non è un caso che proprio quest’ultima vive con sollievo il nuovo governo Conte. Tenendo conto, però che la nomina della Ursula von der Leyen a presidente della Commissione UE cambia totalmente gli scenari europei. Presidenza votata oltre che da Cinque Stelle anche dai nazionalisti di Orbán che non hanno lasciato il Ppe e dalla destra polacca. L’autonomia differenziata, le spinte centrifughe da una parte e la difesa dei tradizionali sistemi di potere degli Stati nazionali sono le due facce della stessa vecchia medaglia. Importante sarebbe iniziare a lavorare per la costruzione di nuove forme di governo capaci di interpretare le domande sociali ed economiche.