Le famiglie verso la ” fase 2″
di Chiara Saraceno
Si sta ragionando su come riavviare le attività produttive, individuando tutti i passaggi e le condizioni necessarie perché ciò avvenga in sicurezza: da una dotazione sufficiente di mascherine e disinfettante, alla possibilità di distanziamento fisico, a modalità di trasporto sicuro dal punto di vista della protezione sanitaria. Tutto molto giusto. Peccato che in questa riflessione manchi un pezzo importante: l’organizzazione famigliare di chi andrà a lavorare avendo figli minorenni.
Come se chi sta preparando la riapertura delle attività produttive avesse in mente una composizione della forza lavoro fatta solo, o prevalentemente, di persone vuoi senza responsabilità familiari, vuoi di uomini che possono delegare l’organizzazione della famiglia e la cura dei figli alla moglie o compagna. Come se fossimo ancora negli anni Cinquanta del secolo scorso, quando, per un breve periodo, divenne maggioritario il modello familiare, e del mercato del lavoro, imperniato sull’uomo procacciatore di reddito e donna addetta al lavoro domestico e alla cura. Ma non è più così da tempo, neppure in Italia dove pure l’occupazione femminile continua ad essere comparativamente bassa. Nelle famiglie con figli, solo un terzo corrisponde a questo modello. Negli altri due terzi entrambi i partner sono occupati. E ci sono le famiglie in cui più spesso la lavoratrice è anche l’unico genitore presente. Come stanno denunciando i molti appelli al governo di gruppi di genitori che circolano in questi giorni, la progressiva riapertura delle attività produttive non può prescindere dalla contestuale messa a punto delle condizioni che garantiscano ai lavoratori e alle lavoratrici che hanno figli minorenni di poter far fronte ai bisogni di cura, relazione, educazione di questi. Con l’avvertenza aggiuntiva che sono le mamme lavoratrici a rischiare di più. A fronte, infatti, della mancanza di soluzioni adeguate, i differenziali salariali tra uomini e donne, la persistente divisione asimmetrica del lavoro familiare unita a modelli di genere ancora troppo rigidi, saranno queste a dover gettare la spugna, a rinunciare al lavoro o ad essere considerate poco affidabili dai datori di lavoro. Dopo 50 giorni di chiusura delle scuole e dei nidi, molte che non hanno potuto lavorare da casa hanno ormai esaurito ferie, congedi parentali, permessi retribuiti e guardano ai lunghi mesi da qui a settembre – senza scuole, campi estivi o altre attività organizzate e senza potersi rivolgere ai nonni – con preoccupazione. Peraltro, anche chi sta lavorando da casa in una condizione di richiesta di presenza totalizzante 24 ore su 24, tra lavoro a distanza, accompagnamento e integrazione della didattica online, organizzazione delle attività di bambini e ragazzi ormai sull’orlo di una crisi di nervi, spesso in spazi ridotti e con strumenti insufficienti, comincia a considerare che questa modalità di lavoro, in queste condizioni, è lungi dall’essere uno strumento di conciliazione delle responsabilità familiari e lavorative. Rischia piuttosto di essere una trappola senza uscita.
Il rinnovo del congedo genitoriale straordinario per altri 15 giorni, magari con un incentivo (altri 10 giorni?) se ciascun genitore ne prende una parte, la possibilità di andare in part time straordinario possono sicuramente aiutare. Ma, oltre a rischiare di essere fruiti solo dalle donne, ad implicare una perdita di reddito e a non rispondere alle necessità dei lavoratori autonomi, liberi professionisti e simili, non bastano a coprire l’intero periodo da qui a settembre. Non possono neppure soddisfare la necessità di bambini e ragazzi di tornare anche loro ad una vita non da reclusi e non limitata esclusivamente alle relazioni familiari strette. Devono perciò essere messe a punto anche altre misure di “fase 2” per famiglie e bambini e ragazzi. Vanno individuate subito regole e strumenti che consentano, con la collaborazione del terzo settore e delle associazioni di società civile, oltre che delle scuole e dei nidi, di organizzare le attività – ludiche, sportive, educative – dei bambini e ragazzi fuori casa e senza i genitori, per piccoli gruppi, possibilmente all’aperto, con le mascherine e il distanziamento fisico necessario, almeno per qualche ora al giorno. E nel frattempo lavorare perché scuole e servizi educativi riaprano in condizioni di sicurezza a settembre, senza ritardi, anche se con modalità parzialmente diverse da prima .