Il Ferragosto bancario riporta al centro del dibattito, anche per la definizione dei casi cruciali di Mps e delle due banche venete, il tema della regolamentazione e della Vigilanza. Quanto al primo caso, si sta ampliando l’arco delle posizioni che ritengono necessaria una revisione della Direttiva Brrd sul bail-in. Venerdì 11 agosto su MF-Milano Finanza il presidente della Commissione Finanze del Senato Mauro Marino ha indicato le modifiche da apportare, cominciando da quel vero e proprio sfregio dei principi fondamentali del diritto rappresentato dall’applicazione retroattiva che della normativa, purtroppo recepita con faciloneria nel nostro ordinamento, è stata fatta. La revisione a sua volta richiama l’esigenza di una profonda opera di sistemazione normativa all’interno dell’Eurozona, in modo da conseguire uniformità delle disposizioni nonché delle metodologie e dei criteri delle Vigilanze. Non va dimenticato che l’istituzione della Vigilanza Unica poggia su una specie di monstrum normativo, ossia un accordo intergovernativo parallelo al Trattato Ue, non essendo stato ritenuto idoneo al trasferimento il Trattato stesso, che ammette la possibilità di uno spostamento di attribuzioni in materia da incardinare presso la Bce, ma alla condizione che esso sia limitato a compiti specifici di Vigilanza prudenziale. Più volte in passato, a partire dagli iniziali anni Duemila, era stata prospettata l’ipotesi, nel consiglio direttivo della Bce, della centralizzazione della Vigilanza sulle banche dell’area, ma si era dovuto prendere atto che ciò sarebbe stato possibile solo nei limiti anzidetti, per cui si era finito con il rinunciare allo spostamento. La posizione in questo senso si era consolidata. Autorevoli governatori delle principali banche centrali dell’epoca – per l’Italia Antonio Fazio – avevano dimostrato il vulnus che sarebbe stato creato se si fosse deciso un trasferimento completo della Vigilanza (quale quello che oggi è in essere). Di pari passo si era sviluppata la linea per l’istituzione di authority europee sui mercati, sulle assicurazioni e, per taluni aspetti, sulle stesse banche: un’architettura che oggi, alla luce di Brexit ma anche dell’esperienza non positiva finora compiuta, va rivista integralmente assumendo il criterio della ripartizione delle competenze per finalità e sopprimendo l’Eba, l’authority di controllo con alcune competenze sulle banche, che rappresenta alla fin fine un doppione della Vigilanza Unica e che comunque, per le prove sin qui offerte non merita di rimanere in vita. L’accordo intergovernativo anzidetto va rivisto, insieme con il ridisegno delle autorità europee. Prima ancora andrebbe valutato quanto un accordo della specie possa distaccarsi dal Trattato, che dovrebbe non solo introdurre facoltà ma anche fissare dei limiti. La circostanza dovrebbe poi essere colta anche per un chiarimento di fondo al quale pervenire, una buona volta: la Vigilanza è costituita presso la Bce. Già oggi il consiglio direttivo di quest’ultima non potrebbe dirsi terzo rispetto alle questioni di controllo. Nelle linee generali ha la facoltà e il dovere di discuterne così come dispone del potere della dissenting opinion nei riguardi delle decisioni del Supervisory Board della Vigilanza rese note al Consiglio stesso. Poiché comunque sulla materia regna confusione, spesso alimentata dall’intento di stare lontani dalle delicate problematiche dei controlli che appaiono dense di rischi anche di immagine, è il momento di definire in tutta trasparenza il rapporto intercorrente tra i due soggetti. Ma è cruciale l’impegno che accompagna l’istituzione della centralizzazione dei controlli, riguardante l’assicurazione europea dei depositi e la realizzazione di un fondo di risoluzione adeguatamente dotato di risorse. Non è più il caso di seguire senza alcuna reazione la posizione tedesca, che subordina l’assicurazione anzidetta alla riduzione dei rischi o, peggio ancora, alla limitazione dell’investimento da parte delle banche in titoli pubblici ovvero alla previsione di un coefficiente di rischio per un tale investimento. Non si può rimanere passivi mentre si sfornano proposte di estremo rigorismo e si indica l’orizzonte di un’indeterminata contrazione della rischiosità. Esiste ormai una questione bancaria europea che il governo italiano deve sollevare. Se il progetto di Unione Bancaria viene solo parzialmente attuato, allora a maggior ragione esso deve essere rivisto di sana pianta. Non si può tentennare, magari temendo reazioni nel versante dei conti pubblici e della flessibilità. Bisogna dire che si è completamente insoddisfatti del modo in cui si sta costruendo questa Unione nel campo bancario e della prima esperienza dell’esercizio della Vigilanza, che ha mostrato gravi deficit sul piano delle misure da adottare e su quello comunicazionale, spesso finendo con l’aggravare situazioni già difficili. E bisogna agire di conseguenza, cominciando anche con l’instaurare la prassi che delle Direttive in corso di formazione si informino tempestivamente i Parlamenti dei singoli partner in modo che esso non sia chiamato solo a giochi compiuti a deciderne il recepimento. Insomma è il complesso delle questioni emerse che va affrontato con organicità e tempestività, se non si vuole poi battere la testa contro le singole decisioni e scelte che muovono proprio dall’inadeguato assetto normativo e dei controlli. Non è possibile costruirsi delle impalcature e dei vincoli che finiscono con il burocratizzare il credito con la motivazione di volerne tutelare la stabilità. Le riflessioni agostane su questi obiettivi dovrebbero esercitarsi.
Milano Finanza – Angelo De Mattia – 12/08/2017 pg. 13 N.158 – 12 agosto 2017.