LONDRA. NONOSTANTE QUALCHE GENTLEMEN’S CLUB ABBIA ORA DONNE TRA I SOCI, IL GARRIK RESISTE UN’IMPRENDITRICE STA FACENDO CAUSA PER DISCRIMINAZIONE (MA È DESTINATA A NON ENTRARE)

Nicol Degli Innocenti

 

Soffia un vento di rivolta negli austeri gentlemen’s club londinesi. Non è ancora aria di tempesta, poco più di una brezza, ma sufficiente a scompigliare tradizioni secolari e abitudini consolidate dal tempo. È la sempre più insidiosa presenza delle donne nei sontuosi circoli della capitale britannica, fino a poco fa dominio esclusivo di politici e aristocratici, intellettuali e giornalisti, attori e banchieri, tutti rigorosamente di sesso maschile.

Ospitati in eleganti palazzi a Pall Mall e dintorni, da secoli i club per gentiluomini sono un santuario ferocemente protetto dal mondo esterno e un fenomeno tipicamente British. The Reform Club, fondato nel 1836 come centro del partito liberale, è stato un apripista, iniziando ad accettare soci donna già nel 1981. Ora sono oltre 400 su un totale di 2.700 membri.

Resiste impervio White’s, il club conservatore più antico e considerato il più snob di tutti, anche se fondato a St James’s nel 1693 dall’italiano Francesco Bianco, che aveva anglicizzato il suo cognome per intrufolarsi meglio nell’alta società inglese. White’s non solo non accetta donne come socie, ma le bandisce del tutto, non consentendo loro neanche l’ingresso come temporanee ospiti. L’unica eccezione è stata fatta per una visita della regina Elisabetta II.

Le critiche a questo bastione della tradizione sono state talmente forti, però, che l’ex premier cosnervatore David Cameron nel 2008 per protesta aveva dato le dimissioni da questo club di cui suo padre era stato presidente. «Guarda troppo al passato invece che al futuro», aveva dichiarato Cameron.

Resiste perfino il ritrovo degli esploratori e degli intrepidi viaggiatori, il Travellers’ Club di Pall Mall, fondato nel 1819, i cui soci devono dimostrare di essersi allontanati di almeno 500 miglia da Londra (che era una bella impresa nell’Ottocento, ben più semplice ora).

Il Club continua a essere chiuso alle donne, concedendo loro solo l’ingresso in alcune sale e solo se scortate da un socio uomo. Neanche la Chiesa anglicana approva: nel 2014 l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, aveva dato le dimissioni dal Travellers’ per protesta contro il rifiuto di ammettere soci donna.

Il Club all’apparenza più liberal di tutti si trova ora nell’occhio del ciclone. Il Garrick Club, a Covent Garden, è il circolo preferito da attori, editori, giornalisti, scrittori, ministri, giudici e avvocati. Fondato nel 1831 , ammette le donne solo come ospiti.

Nel 2015 l’assemblea generale del Garrick aveva votato una mozione sull’ammissione delle donne, che era stata approvata per un soffio, dal 50,5% dei soci. La maggioranza semplice però non è bastata, dato che le regole del club difendono lo status quo: serve una maggioranza di due terzi per cambiare lo statuto.

Pare che siano stati i soci nelle professioni legali a votare contro ogni cambiamento, deludendo attori, editori e giornalisti che erano pronti a spalancare le porte alle donne. «Trovo scioccante che tanti dei miei colleghi, che dovrebbero essere votati al principio di uguaglianza per tutti, non vedano proprio il problema», ha detto Lady Hale, prima donna presidente della Corte Suprema.

I tradizionalisti spiegano che non si tratta di misoginia o di maschilismo, ma semplicemente di voler mantenere il ruolo dei club come luogo di relax. Secondo loro la presenza delle donne scatena l’effetto-pavone negli uomini, che diventano esibizionisti e competitivi, e addio oasi di pace.

La pace è certamente finita al Garrick. Emily Bendell, un’imprenditrice, ha fatto causa al club, sostenendo che il divieto di ammettere le donne costituisce una violazione dell’Equality Act del 2010 che vieta la discriminazione tra i sessi. La legge nel nome del buon senso permette l’esistenza di organizzazioni aperte a un solo sesso, come un coro o una squadra sportiva, ma proibisce esplicitamente la discriminazione nel settore dei servizi.

Leigh Day, lo studio legale scelto dalla Bendell, sostiene che dato che il Garrick ha un bar, un ristorante e stanze per gli ospiti non concedere l’accesso alle donne costituisce una forma di discriminazione illecita. «In essenza, le donne possono accedere ai servizi del club solo come cittadine di seconda classe secondo il capriccio di un uomo che deve sia invitarle che pagare per loro», recita il testo della lettera.

La Bendell, prevedibilmente, è stata bersagliata da critiche. Per alcuni l’imprenditrice, fondatrice e amministratrice delegata di un’azienda di biancheria intima, ha commesso un imperdonabile errore. Ha dichiarato candidamente di voler diventare socia del club per fare networking e conoscere persone utili.

Chiunque conosca come funzionano i club inglesi sa che il networking è considerato inaccettabile e volgare. Gli incontri di lavoro non sono concessi in questi templi del tempo libero e chiunque tiri fuori cartelle e documenti viene cortesemente ma fermamente redarguito dai vigili inservienti.

Tutto questo è ipocrita, ha ribadito l’imprenditrice, sottolineando che «anche se non si parla di lavoro, socializzando si stringono legami invisibili e sappiamo tutti quanto siano importanti».

Comunque vada la causa, si può prevedere che la Bendell non diventerà socia del Garrick. Ha violato le (invisibili e ipocrite) regole di etichetta del club, dove ogni aspirante membro deve essere presentato da almeno due soci e c’è comunque una lista d’attesa di 7 anni.

La sua battaglia però fa parte di una lunga guerra che prima o poi sarà vinta. Il futuro è donna, perfino nel mondo rarefatto dei gentlemen’s club londinesi.

 

 

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