Luci e ombre dell’intesa raggiunta alla conferenza di Katowice Paesi sempre più divisi sulle politiche da adottare entro il 2020
FEDERICO RAMPINI,
Dal nostro corrispondente
NEW YORK
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In primo piano c’è la latitanza dell’Unione europea. A dirlo chiaro è un osservatore indipendente, l’indiano Harjeet Singh della ong Action Aid: «Il ruolo dell’Ue è stato molto deludente. Perché non si è presa le sue responsabilità? » . Emmanuel Macron, che si fregiò del titolo di “campione della lotta al cambiamento climatico” assegnatogli dall’Onu, ha disertato il summit: lì avrebbe fatto una figuraccia, visto che per placare i gilet gialli ha sacrificato la sua carbon tax che doveva disincentivare i carburanti fossili. La Germania, malgrado l’avanzata elettorale dei suoi Verdi, è inadempiente: la sua transizione dal carbone procede a rilento e molte centrali elettriche tedesche continuano ad essere super- inquinanti; lo scandalo Dieselgate ha macchiato il suo ” campione nazionale” Volkswagen, protagonista di una truffa criminale sulle emissioni. Il Regno Unito è assorbito da una sola cosa, Brexit. Anche in Italia la pasticciata vicenda dell’ecotassa sulle nuove auto dimostra che l’agenda ambientalista è la prima ad essere sacrificata.
Eppure l’Europa aveva un’opportunità unica di riempire il vuoto di leadership lasciato da altri. La leadership, quando c’è, fa la differenza. Il vertice di Parigi nel 2015, che accese tante speranze di una svolta vera, fu possibile grazie a Barack Obama. Fu lui a trainare Cina e India verso una logica di tipo nuovo, cooperativa e non rivendicativa. Obama aveva appreso la lezione da un fallimento precedente, cioè Copenaghen 2009, quando l’asse di Cindia aveva opposto una fiera resistenza. Prevalse nel 2009 una visione terzomondista e recriminatoria: le potenze emergenti non accettavano di mettersi sullo stesso piano dell’Occidente, responsabile per due secoli di industrializzazione e devastazioni ambientali. Obama seppe costruire un dialogo con Xi Jinping che aveva abbracciato la nuova sensibilità dei ceti medioalti in Cina, preoccupati per i veleni che respirano nell’atmosfera. L’America obamiana coinvolse la Cina e l’India in un’idea di leadership condivisa, per affrontare insieme l’emergenza comune. Restavano troppe ambiguità, Pechino si riserva di continuare ad aumentare le sue emissioni carboniche fino al 2030. Non c’erano negli accordi di Parigi controlli sovranazionali sul rispetto degli obiettivi; né sanzioni in caso di violazione. Era una base di partenza.
Nel dopo- Obama l’Europa avrebbe potuto sostituirsi, per tante ragioni. Se la si considera un blocco unico, ha una stazza economica superiore agli altri due big, America e Cina. Ha un modello di consumi meno energivoro di quello americano. Essendo dipendente da risorse energetiche esterne, è un interlocutore- chiave per i paesi fornitori.
Il saldo netto del summit di Katowice è che il pianeta continua la sua marcia verso una traiettoria di riscaldamento di +3,5 gradi per la fine del secolo, contro quel limite di +1,5 gradi considerato tassativo per limitare i danni. Il rapporto allarmante della comunità scientifica ( Ipcc) consegnato al vertice, « non ha ricevuto nessuna risposta » , secondo Greenpeace International. Certo è scattato il sabotaggio di un’alleanza fossile che include Usa, Russia, Arabia, Brasile, Kuwait e Australia. Però dagli europei non è venuto un vero contrappeso. L’Ue è sembrata più preoccupata di mascherare il fiasco, sepolto sotto 133 pagine di documenti finali. C’è un problema che oggi deve mobilitare gli ambientalisti, e non si chiama Donald Trump. Il tema è la sostenibilità sociale. Dalle proteste dei gilet gialli francesi ai voti repubblicani tra i minatori della Pennsylvania, dal populismo di Bolsonaro a quello di Xi Jinping, c’è un comune denominatore. È passata l’idea che la protezione dell’ambiente penalizza la crescita e impoverisce i più poveri. Quest’idea si è imposta perché spesso gli slogan sulla Green Economy non hanno incluso soluzioni concrete e immediate per le vittime dell’abbandono delle energie fossili. L’aumento delle diseguaglianze sociali ha fatto il resto. Sono problemi su cui l’Europa potrebbe essere un laboratorio di soluzioni. Ma non lo è.