Lo Zar e il mito della Terza Roma

Lo Zar e il mito della Terza Roma
di Carlo Galli
Anche se fosse vero quello che tutti sperano, cioè che si sta andando verso un accordo, il conflitto russo-ucraino lascia un mare di morte, di distruzione, di dolore, di miseria, di separazione, di odio. Molto tempo sarà necessario perché si rimarginino le ferite politiche, economiche, umane, che sono state aperte dallo sciagurato intervento voluto da Putin e dal suo governo.
La guerra, come fosse dotata di un’esistenza autonoma, si è avvitata su se stessa, e, anche se la politica ha creduto di modularla secondo le sue convenienze, si è prodotta una escalation non solo militare, non solo di crudeltà, ma anche di mentalità: ragionare in termini di amico e nemico è diventato comune; disegnare scenari apocalittici non è più fantascienza ma espressione di minacce e paure reali, purtroppo non infondate; la pace ha cessato di essere percepita come qualcosa di normale; le memorie individuali e collettive saranno segnate a lungo dall’esplosione di violenza patita dal popolo ucraino.
Una ferita nuova, profonda, lacerante, si è poi aggiunta a quelle materiali con il discorso di Putin allo stadio Luzniki: un discorso importante perché segna un rilevante salto di qualità propagandistica e ideologica, che non va solo rubricata come “blasfema”, come il mondo cattolico, insieme a molti laici, tende a fare. Utilizzare, come ha fatto Putin, un brano del Vangelo di Giovanni per legittimare la guerra “patriottica” è in realtà la riattivazione consapevole di una faglia profonda della storia russa. Cioè del mito identitario di Mosca come “Terza Roma”.
Tramontata la Roma italiana, caduta in mano ai musulmani quella bizantina, Mosca è stata investita da una parte della Chiesa ortodossa e dal potere politico zarista del compito di proseguire e portare a compimento la missione al tempo stesso sacra e imperiale delle due Rome di cui si vuole erede. Una missione affidata al cesare, allo zar, legittimato da un patriarca che ne riconosce la superiorità; una missione, però, non più universale ma centrata sul mondo slavo, che ne riceve identità e compattezza, e che si differenzia così dal mondo occidentale – il quale invece, in età moderna, tende a separare laicamente, e umanisticamente, politica e religione -. La mitologia della Terza Roma ha operato anche durante il comunismo, che, almeno con Stalin, ha costruito un comunismo impregnato di slavofilia, e ha preso dall’Occidente la tecnica razionale della politica e della produzione economica, ma non l’essenza emancipativa della modernità.
Anche Putin agisce contro la occidentalizzazione della Russia, quindi, e vuole far fronte alle difficoltà della sua avventura ucraina trasformandola in una guerra di civiltà tra un potere etno-nazionalista radicato nella sacralità e l’ideologia occidentale. Al conflitto fra Occidente ed Eurasia si somma quindi, nel disegno putiniano, quello tra mondo cattolico e protestante, da una parte, e mondo slavo ortodosso dall’altra, fra Stati democratici e Impero bicontinentale. E forse lo zar si augurerà che gli si risponda, dall’altra parte, con ondate di russofobia. Così che l’ostilità divenga irrimediabile.
Molti intellettuali russi probabilmente rabbrividiscono davanti a questa mossa dell’autocrate di Mosca, che mette fine alla occidentalizzazione della Russia post-comunista, compromettendone lo sviluppo democratico. Nondimeno, l’escalation ideologica approfondisce la ferita che la guerra ha aperto; siamo ormai davanti a un conflitto che non si spiega solo con l’economia politica, né solo con la geopolitica; l’ostilità, ormai, ha raggiunto la sua forma estrema: è diventata un’inimicizia teologico-politica. Fra i compiti della pace ci sarà anche questo: operare una efficace e credibile de-escalation ideologica, uscire dalla guerra di religione, recuperare una comune umanità.
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