Il poeta francese ha avuto un legame speciale con la città toscana Il primo soggiorno a vent’anni, poi l’incontro con Manzoni. Nel giugno del 1811 un giovanissimo Alphonse fu mandato in Italia per allontanarlo da una relazione troppo intensa. Quel viaggio segnò per sempre la sua vita e le sue opere.
di Paola Farneti
Siamo nel 1810. Alphonse de Lamartine, il primo poeta romantico francese, ha vent’anni. Si trova nella tenuta paterna nella campagna di Milly dove ha passato tutta la sua infanzia: legge romanzi francesi come Chateaubriand, madame de Staël, Stendhal, Rousseau, ma anche Dante della Divina Commedia, l’Ariosto e il Tasso, letture che alimentano la sua fantasia e il suo carattere languido e sognante. Nell’inverno di quell’anno Alphonse, giovane bello e attraente, si innamora della figlia di un proprietario del luogo, Henriette, una relazione che sembra divenire sempre più intensa, e che per questo preoccupa la madre: troppo giovane e senza un’occupazione il figlio, senza dote e di famiglia borghese la ragazza. Così, per dissuadere Alphonse da un’unione prematura, niente appare più opportuno di un bel viaggio in Italia, dove per l’appunto vivono anche i suoi cugini. Una proposta che il ragazzo accetterà con l’entusiasmo dei suoi vent’anni, anche se ama ancora Henriette che è certo di ritrovare al suo ritorno. In quell’epoca romantica, infatti, fiorisce la passione dei viaggi, intrapresi come una profonda esperienza interiore: e l’Italia, terra di bellezza e di armonia, è stata sicuramente la mèta più ambita da tutti i più grandi poeti e letterati che trovarono qui la loro fonte di ispirazione, da Goethe, a Byron, Shelley, Keats e tanti altri, fino a Lamartine che, come vedremo, avrà uno speciale rapporto con la Toscana, e in particolare, con la città di Livorno dove soggiornò più volte. Cominciamo dunque dal primo viaggio del giovane Lamartine che parte per l’Italia nel giugno del 1811, desideroso di libertà, trepidante e impaziente per l’incontro con quel cielo e quel sole di cui aveva già assaporato, per così dire, il calore e la serenità nei versi di Goethe. «L’amour des voyages – scriverà in seguito – était pour moi comparable à la passion pour l’infini » . E questo senso dell’infinito sarà percepito proprio a Livorno, la prima lunga sosta di questo viaggio: un soggiorno che si rivelerà interessante e proficuo per il giovane, che in quell’estate approfondì lo studio della lingua italiana, o meglio, come egli stesso precisa, della lingua toscana. È proprio qui che il poeta vede per la prima volta il mare, un impatto emotivo sconvolgente, una vera gioia dello spirito capace di trasformare «l’infinito visibile in infinito pensato». Possiamo immaginare il giovane Alphonse, forse all’ora del tramonto, sul lungomare della cittadina labronica, magari quando il vento di libeccio agita le onde e rende più misteriosa l’immensità dell’orizzonte: sprazzi di gioia forse si saranno alternati anche a sentimenti di dolce malinconia legati alla finitezza della vita, mutamenti tipici e talvolta improvvisi del carattere romantico. Ma possiamo dedurre dalle sue stesse parole come questa lunga estate passata a Livorno, un « magnifique port de mer » , sia stata senza dubbio un’esperienza felice: lo studio della lingua, il fascino del mare, le belle gite a Lucca e a Pisa, la bellezza delle donne toscane, ma anche le serate passate a studiare il teatro dell’Opera o a scrivere alla madre sono definite da Lamartine addirittura la «luna di miele » della sua intelligenza, uno stato di grazia che si arricchiva di nuovi sentimenti e suggestioni poetiche.
Sappiamo che Lamartine proseguì il suo viaggio per Roma e Napoli per fare poi ritorno in Francia dopo un anno di assenza. Già noto per le sue Méditations, nell’estate del 1826 il poeta ritorna a Livorno con la moglie, Marianne-Elisa Birch e la figlia, un periodo che egli stesso ricorda come tra i più sereni della sua vita, in una « maison a cent pas de la mer » . Nelle lettere che in quei mesi invia all’amico de Virieu scrive: « La mer mediterranée est ma mer: je ne vis que sur ses bords, elle m’apporte vie et pensée». In questo periodo Lamartine intensificò le sue relazioni con il Granduca di Toscana Leopoldo II. Durante l’estate il Granduca risiedeva a Pisa, ma spesso veniva ad abitare nel palazzo ducale livornese nella stagione balneare. Lo stesso poeta ci offre, nel suo testo autobiografico Lamartine par lui même, un suggestivo quadretto godibile come un colorato dipinto dell’ 800: nelle calde giornate estive le principesse e l’equipaggio di corte si recavano all’Ardenza « per respirare il soffio del mare fino al cader della notte » , uno spettacolo di sfarzo ed eleganza che la folla del luogo seguiva con curiosità e partecipazione. Verso sera poi, finita la passeggiata, spesso il granduca e le sue dame sostavano davanti alla casa del poeta intrattenendosi nel salone o nel giardino sotto gli alberi d’arancio, in un’atmosfera di amichevole e informale conversazione.
L’estate dell’anno seguente Lamartine è di nuovo a Livorno, nella sua bella villa Palmeri «che vale molto di più delle Cascine e del tumulto di Firenze » . Spesso fa delle lunghe cavalcate nelle campagne fino a Montenero, fermandosi di fronte alla villa «un tempo splendida ora deserta » di Byron che vi aveva dimorato nel 1814; a volte lasciava la strada e si inoltrava da solo nei boschi da dove si scorgeva il mare: « Là passavo intere giornate in compagnia dei miei pensieri con un libro un mano, sul cui margine andavo scrivendo le poesie ispiratemi dal cielo e dal mare » . E lo storico livornese Pietro Vigo è convinto che almeno tre dei componimenti delle Armonie poetiche e religiose siano stati scritti proprio nei nostri boschi.
Ma Livorno non offriva al poeta solo solitudine e promenades sentimentales: Lamartine, infatti, ebbe modo di frequentare la migliore società livornese e specialmente il salotto di Angelica Palli Bartolommei, donna di grande cultura che radunava intorno a sé letterati ed artisti famosi, fra i quali il Manzoni, con cui Lamartine si trovò a discutere e condividere appassionanti argomenti di filosofia e di poesia.
Lo ritroviamo in questa città, per la terza volta, nel luglio del 1828, e, anche se gode ancora, nella sua bella casa, del buon clima e della frescura del vento di mare, il suo stato d’animo è più triste sia per i malintesi legati al suo ruolo di segretario del nuovo ambasciatore francese in Toscana, barone de Vitrolles, sia, soprattutto, come scrive alla madre, per la difficoltà di trovare il tempo da dedicare alla poesia.
Ma gli anni trascorsi in Italia e a Livorno saranno ricordati sempre con grande nostalgia, come i più felici della sua vita. E anche Livorno ha custodito con affettuoso orgoglio i documenti, le testimonianze e le tracce del passaggio dell’illustre poeta nel suo territorio: oltre agli scritti degli storici livornesi dell’epoca, sono conservate, nella preziosa raccolta di autografi del conte Bastogi della biblioteca labronica, alcune lettere inedite del poeta, oltre ai manoscritti e ai versi di Angelica Palli e di altri illustri personaggi, che aggiungono dettagli interessanti, oltre che sul soggiorno di Lamartine, anche sul fervore intellettuale della società livornese di quei tempi.