arte, cibo e quel che manca

 

Ci sono onde che nessuno può fermare, che non hanno vaccini o cure domiciliari. Onde economiche che tutto travolgono. Quella dei nostri tempi è il cibo, inarrestabile da anni, e che neanche la pandemia ha fermato. Superchef e street food, giapponesi, coreani, vietnamiti, anche trattorie, alte e basse come diceva Renato Pozzetto, insomma per tutti i gusti e portafogli. Firenze ne sa qualcosa, perché hanno chiuso uno dopo l’altro i negozi di vicinato e hanno aperto spacci di ogni tipo, le strade del centro hanno cambiato volto, gli artigiani hanno fatto le valigie, le mesticherie sono scomparse, latterie e ortolani anche. Ma naturalmente ristoranti e affini danno anche lavoro. Mentre le attività che hanno chiuso non riuscivano neanche ad arrivare in pari a fine mese. La notizia è che Hicham Ben Mbarek, per tutti Ben, classe 1982, imprenditore noto per i suoi negozi di pelle (34 dipendenti in Italia, 250 all’estero), aprirà una catena di piadinerie, prima a Firenze in via dei Cimatori, poi entro l’anno una decina di negozi in Italia e infine nel mondo nel 2023. E magari se andrà bene farà un po’ di sana concorrenza al Vinaino, anche lui lanciato nell’avventura di portare le sue schiacciate a Milano, Roma, Los Angeles e New York. Di questi tempi è una buona notizia: significa investimenti e posti di lavoro, ma soprattutto che c’è chi scommette sul nostro futuro. Che insomma pensa che la pandemia prima o poi finirà, o che comunque riusciremo a trovare il modo per conviverci.

E, per quel che riguarda Firenze, che i turisti torneranno, e faranno la coda alle piadinerie di Ben come le hanno fatte (a dir la verità le fanno anche ora) ai negozi del vinaino. E che anche noi fiorentini torneremo a uscire di casa. L’altro lato della medaglia è che questa notizia è un segnale che la nostra città continuerà a cambiare, e nella direzione degli ultimi anni. Per qualcuno è una brutta notizia. Ma le città sono per definizione una realtà viva, in continua evoluzione e cambiamento. Nascono per attirare persone e attività, e nei secoli hanno fatto molta strada adattandosi sempre a quello che gli abitanti volevano. E non c’è dubbio che abitanti e turisti ora vogliono mangiare e bere. Verrebbe da dire: una volta esportavamo l’arte, ora invece portiamo schiacciate e panini. Non è proprio così. Molta arte la importavamo, anche allora. Solo che il mondo era più stretto. Ma tanti artisti, fra i nostri giganti, arrivavano da San Giovanni Valdarno, da Vicchio, da Vinci, da Caprese, da Pratovecchio, da Arezzo, da Colle val d’Elsa, da Urbino e così via. E poi, se proprio vogliamo, c’è dell’arte (della creatività) anche nelle schiacciate e nelle piadine. Quello che manca in questa nostra città è la capacità (e la volontà) di gestire il cambiamento. Guidarlo, accompagnarlo, aiutarlo a trovare il giusto equilibrio fra le esigenze del commercio e quelle di chi abita. Spesso gli imprenditori (come nel caso del Vinaino, ma non è l’unico caso) sono lasciati soli a gestire il loro successo. Ed è paradossale. Ma lo stesso accade anche per i tanti locali della movida, che è un’altra attività ormai importante economicamente per la nostra città ma che lasciata senza regole (e controlli) minaccia le notti dei residenti. Insomma, non sarà una piadineria in più a rovinare Firenze. Ma la nostra incapacità di far convivere in una città contemporanea residenti e commercianti forse sì.

Eugenio Tassini

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