Il Giro d’Italia in versione autunnale, con il freddo incombente che rischia di trasformarlo in un’impresa per corridori d’altri tempi, insieme ai primi vagiti del «Green New Deal» europeo che incentiva i paesi a promuovere il trasporto sostenibile, portano entrambi alla luce la natura polivalente della bicicletta, al contempo protagonista della preistoria della mobilità umana su grande scala e oggi al centro di assai futuribili riassetti degli spostamenti urbani. Le molteplici e attualissime implicazioni dell’andare in bicicletta erano già presenti nella pionieristica esperienza di una coppia di pedalatori d’antan, che il 16 ottobre 1884 partirono per attraversare l’Italia centrale a bordo di un tandem allora del tutto avveniristico.
Joseph Pennell e la moglie Elizabeth erano americani di Philadelphia. Trasferitisi a Londra, si diressero alla volta del «Bel paese» più o meno con lo stesso spirito con cui i rampolli della nobiltà affrontavano il cosiddetto Grand Tour, ossia per diletto e per formazione. Entrambi si distinguevano per essere anti-convenzionali: contro il parere degli austeri genitori, lui aveva seguito un’insopprimibile inclinazione artistica ed era divenuto uno stimato e ben remunerato illustratore per riviste e periodici; lei, da una famiglia di solide e profonde radici coloniali che la guerra civile aveva esposto a qualche rovescio economico, cresciuta in collegio dopo la morte della madre, attinse a un’educazione di stampo europeo che la rese quasi un’estranea nella sua casa. Alla ricerca di un posto nel mondo, si dedicò al giornalismo e alla scrittura, pubblicando la biografia della proto-femminista Mary Wollstonecraft, il cui successo la spinse a considerare lo scrivere un succedaneo del matrimonio e una via verso l’indipendenza, che desiderava sopra ogni altra cosa. Volle il fato che a Joseph fosse commissionata l’illustrazione di un pezzo sugli edifici storici di Philadelphia, la cui parte giornalistica toccò a Elizabeth. Uniti dal lavoro, i due scoprirono le comuni passioni per l’arte e l’esplorazione, per il viaggio e la bellezza, decidendo infine di convolare a nozze, così da potersene andare in giro senza suscitare critiche o pettegolezzi fastidiosi.
Erano gli anni del boom della bicicletta e Joseph era stato investito in pieno dalla mania ciclistica, per quanto si trattasse in principio di una pratica per veri ardimentosi. Negli anni ’60 del secolo, era comparso un velocipede in legno, con i pedali sulla ruota frontale, il cui rivestimento in metallo provocava tali sobbalzi da procurargli il nome di boneshaker («scuotitore di ossa»). Poi vide la luce il biciclo, con l’enorme ruota anteriore e la minuscola ruota posteriore, che imponeva una tecnica complicata e pericolosa per salire e scendere di sella, come ebbe a rimarcare con la consueta arguzia Mark Twain: «Fatevi una bici. Non ve ne pentirete, se restate vivi».
Prima che apparisse la safety bike, con le ruote di uguali dimensioni, la catena di trasmissione e i freni al manubrio, il triciclo fu per un breve momento un’affidabile alternativa ai veicoli a due ruote: abbastanza veloce, più stabile e sicuro, permetteva di portare un bagaglio ed era adatto anche alle signore obbligate all’ingombrante vestiario vittoriano. Nella versione a due posti, divenne l’ideale per le lunghe escursioni e fu una delle ragioni della diffusione del ciclo-turismo. Con un tale mezzo di locomozione, i Pennell partirono da Firenze diretti verso Roma, nonostante amici e conoscenti cercassero di dissuaderli elencando i notori pericoli dell’Italia: il colera e la malaria, gli albergatori disonesti, le locande scomode e persino il cibo cattivo. Era il viaggio che avevano lungamente sognato, e ne ricavarono – ovviamente illustrato da lui e redatto da lei – l’agile volumetto An Italian pilgrimage (pubblicato non molti anni fa da Sellerio con il titolo «L’Italia in velocipede»), ponendosi così anche agli albori della letteratura da viaggio.
Dall’opera, emerge una comprensione non superficiale del paesaggio, della storia e della cultura dei luoghi, mentre le persone e i loro costumi sono tratteggiati con tono diretto e acuto, che se tradisce paternalismo o disapprovazione assume tuttavia gli apprezzabili caratteri dell’indagine etnografica. Prendono così forma e vita i contadini che strabuzzano gli occhi di fronte all’insolito spettacolo della coppia a pedali, e i vocianti ragazzini che non si trattengono dal toccare il triciclo e ne impediscono la marcia, o il prete scandalizzato che lancia ai Pennell un’occhiata di biasimo, come pure i premurosi monaci dell’Abbazia di Monte Oliveto, nonché le spicce e sbrigative locandiere che alzano la voce per reclamare il saldo del conto o si profondono in apprezzamenti e regali.
Disegni e testi restituiscono inoltre il sapore di un’esperienza autentica e primigenia, che si contrappone nostalgicamente alla neonata e già alienante industria del turismo. Nel 1820, Stendhal aveva stigmatizzato la moltitudine di russi e inglesi che affollavano le Cascine di Firenze, ormai ridotta a «museo pieno di stranieri che vi traslocano le proprie usanze», mentre nel 1869 ancora Twain aveva stilato un resoconto umoristico della prima crociera mai organizzata negli Stati Uniti per portare gli americani a visitare l’Europa. Consapevole che il viaggiare, pur così recente, era ormai passato per un processo di manipolazione e contraffazione, Elizabeth si persuase che solo «fermandosi di tanto in tanto, oppure rallentando l’andatura, si può assaporare l’incanto, come dovevano fare i viaggiatori di un tempo che sapevano come rendere gradevoli viaggi interminabili».
Infine, il libro coglie in modo vivido le ricompense e le pene del ciclo-turismo: il vento alle spalle che spiana la strada, la salita ripida e accidentata che costringe a smontare e a spingere, oppure l’incidente meccanico, che obbliga a percorrere a piedi l’altrimenti rigenerante discesa. Come ben sanno i ciclisti di oggi, i moderni destrieri di metallo possono essere ben più leggeri e robusti, ma gli elementi fondamentali del ciclismo non sono cambiati molto da quando un uomo e una donna un po’ sui generis li raccontarono con intensità e passione.