L’inventore di Caravaggio

Ideoardo Sassi

Una collezione di dipinti specchio fedele di una vita di studi-e-passioni, diade pressoché indissolubile nel lungo magistero di Roberto Longhi (1890-1970), uno dei giganti tra gli storici dell’arte del Novecento. Longhi il critico, il prosatore raffinatissimo (da Contini ad Arbasino, da Bassani a Pasolini, suoi allievi, affollato e nobile l’elenco degli estimatori del Longhi scrittore tout court), Longhi il docente, il fondatore di «scuole» e riviste («Paragone» soprattutto), il deus ex machina, benché non l’unico, nello scacchiere dei rapporti arte-potere prima e dopo il Secondo conflitto mondiale.

E a Longhi il collezionista, nell’anno del cinquantenario della morte, è dedicata la mostra allestita fino al 13 settembre ai Musei Capitolini-Palazzo Caffarelli a Roma. Una selezione impaginata con oltre quaranta opere a lui appartenute e in cui spicca una delle due versioni note del celebre Ragazzo morso da un ramarro di Caravaggio, autore-simbolo della ricerca longhiana fin dalla tesi di laurea, discussa a Torino con Pietro Toesca nel giorno del ventunesimo compleanno, il 28 dicembre 1911.

Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi è il titolo scelto per questa antologica, curata da Maria Cristina Bandera, direttore scientifico della Fondazione Longhi di Firenze, centro studi con sede in quella stessa villa, Il Tasso, che dal 1939 fu residenza del critico e di sua moglie Lucia Lopresti, narratrice di fama con lo pseudonimo di Anna Banti, che di Longhi fu allieva sui banchi del liceo romano Tasso.

Territorio d’indagine esclusivo della selezione proposta è il Seicento di ambito naturalistico (tralasciando volutamente il Longhi esegeta e collezionista di opere a lui contemporanee, Giorgio Morandi tra i primi), settore di studi in cui lo studioso fu pioniere proprio a partire dalla «scoperta» di Caravaggio, pittore oggi universalmente idolatrato ma al tempo non così noto, e addirittura «uno dei meno conosciuti dell’arte italiana» come scrive lo stesso Longhi nel 1939.

Il Ragazzo morso da un ramarro, opera giovanile del Merisi (1597 cica) acquistata probabilmente da Longhi nel 1928 (l’altra versione è a Londra, National Gallery: «Non si conoscono menzioni dei due esemplari negli inventari romani più noti e la loro antica provenienza non è conosciuta», ricorda nella scheda in catalogo Mina Gregori, che di Longhi fu allieva) è affiancata da un disegno, di identico soggetto, firmato dello stesso Longhi. Ma ad anticipare cronologicamente l’iconica tela del genio prediletto, l’apertura del percorso espositivo è riservata a quattro tavolette di Lorenzo Lotto e a due dipinti di Battista del Moro e Bartolomeo Passarotti, per testimoniare il clima del manierismo lombardo e veneto in cui Caravaggio si formò.

Tra gli altri capolavori presentati, la monumentale tela raffigurante la Negazione di Pietro (1615-1617) di Valentin de Boulogne, da sempre ritenuto uno dei quadri più importanti della collezione dove pervenne a metà anni Sessanta (ma l’opera era già stata selezionata da Longhi per la sua storica Mostra di Caravaggio e dei caravaggeschi a Milano, Palazzo Reale, 1951). La penombra, il tema sacro trattato come scena da taverna, i soldati che giocano a dadi, il tutto evocato dalla mano felice di un pittore di cui Longhi amava «i bruni screpolati sui margini delle cose, fra le strappate dei rossi e degli azzurri» e «la torbida tristezza».

Tra le prime opere entrate a far parte della collezione del critico, i cinque Apostoli acquistati nel 1921 sul mercato antiquario romano. Solo dal 2002 l’attribuzione (di Gianni Papi) li affida con convinzione alla mano del giovane Jusepe de Ribera e non più a quella del Maestro del Giudizio di Salomone. Gli Apostoli — tra cui spicca il profilo di Matteo con fascio di luce diagonale sul fondo — in origine appartennero a Pedro Cussida, rappresentante in Italia del re di Spagna. Tra gli altri artisti della «Cerchia» (altro conio longhiano) di Caravaggio, presenti opere di Carlo Saraceni, Giovanni Lanfranco, Angelo Caroselli — un’Allegoria della Vanità con i tratti di una sensuale cortigiana in un probabile atto di magia nera — Dirck van Baburen, Gherardo Delle Notti, fino a Battistello Caracciolo e Mattia Preti, questi ultimi rubricati da un giovane ed entusiasta Longhi come, rispettivamente, il secondo e il terzo «genio» del Seicento italiano.

 

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