L’insegnamento è un lavoro a rischio automazione?

Che il mondo del lavoro vada verso una sempre maggiore automazione – salvo non intervengano fattori eccezionali, ovviamente  – trova concordi molti analisti; più difficile è stabilire quali tipi di lavoro, in che misura ed entro quale termine verranno automatizzati e se esistano invece professioni in cui l’attività umana sia insostituibile. In uno studio, per esempio, della Oxford University e della Oxford Martin School del 2013 si prevede che, entro un ventennio, il 47% dei lavori negli Stati Uniti verrà automatizzato; in un altro, del Brookfield Institute for Innovation + Entrepreneurship, del 2016, si sostiene un cambiamento analogo per il Canada; secondo una ricerca del 2017 del McKinsey Global Institute, benché con le tecnologie attuali solo il 5% dei lavori potrà essere interamente sostituito da macchine, entro il 2030 i lavoratori coinvolti saranno tra i 400 e gli 800 milioni in tutto il mondo.

Ci si chiede anche quali siano i lavori a più forte rischio di automazione e naturalmente si tende a credere che lo siano quelli più ripetitivi, come il commesso di McDonald’s, o quelli più pericolosi, come l’artificiere, ma si ritiene che almeno le professioni in cui sono fortemente coinvolte le qualità tipicamente “umane” di empatia e intelligenza sociale, come l’insegnamento, siano a scarsissimo rischio di sostituzione. Eppure c’è chi pensa il contrario e addirittura azzarda un pronostico temporale molto ravvicinato, di soli 10 anni: al British Science Festival del settembre 2017 di Londra, Sir Anthony Seldon, storico, saggista e vice-chancellor dell’Univeristà inglese di Buckingham, si è dichiarato certo che entro il 2027 gli insegnanti saranno ridotti a meri assistenti di robot, addetti a mansioni quali mantenere la disciplina o, tutt’al più, monitorare i progressi degli alunni. Seldon, inoltre, ritiene questa per certi versi una buona notizia, poiché a suo parere la sempre maggiore interattività dei robot potrà garantire un insegnamento più personalizzato rispetto a quanto riescano a fare attualmente nelle classi gli insegnanti umani, più adatto al ritmo di apprendimento di ognuno e più “formattato” sulle capacità cognitive individuali di ciascuno studente. Questa rivoluzione prossima a suo parere riguarderà dapprima le discipline scientifiche e matematiche, ma poco dopo anche quelle umanistiche.

Per quanto le congetture di Seldon possano apparire eccessive, e probabilmente lo sono, sono già in corso da alcuni anni sperimentazioni in questo campo: per esempio, in Corea del Sud, sin dal 2006 in alcuni istituti gli insegnanti di classe sono affiancati da robot per l’insegnamento dell’inglese; negli Stati Uniti, al Georgia Institute of Techology, un computer chiamato Jill Watson assiste un corso online di intelligenza artificiale; e all’undicesima edizione di Handimatica, organizzata dal 30 novembre al 2 dicembre a Bologna dalla Fondazione Asphi (Avviamento e sviluppo di progetti per ridurre l’handicap mediante l’informatica), è stato presentato il TjBot, un robot ideato dalla IBM che interagisce con insegnanti e studenti per affiancarli e stimolarli nell’apprendimento.

È difficile – e per certi versi angosciante – riuscire a credere che gli insegnati possano veramente essere sostituiti completamente da robot; tuttavia è molto probabile che l’intelligenza artificiale avrà in un futuro – non sappiamo quanto vicino, almeno nelle nostre scuole – un ruolo sempre più importante anche in questo campo.