L’illusione di crescere per decreto.

Lavoro penalizzato

di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

 

L’Italia corre rischi come raramente ne ha affrontati nella storia degli ultimi settant’anni. Il fatto che il governo giallo-verde continui a godere di un’ampia popolarità è una magra consolazione: Domingo Perón, e più recentemente i presidenti Kirchner, erano acclamati da folle sterminate, ma ciò non ha impedito che l’Argentina si trasformasse da uno dei Paesi più ricchi al mondo solo un secolo fa ad uno in cui il reddito pro capite è oggi simile a quello del Messico. Siamo come sulla cresta di un ghiacciaio: un altro passo falso e potremmo cadere nel vuoto.

Certo che l’Italia ha bisogno di crescita e di lavoro. Ma le misure adottate dal governo, prima che mettere a rischio i conti pubblici mettono a rischio proprio lo sviluppo e il lavoro. Non si cresce se si pone a carico di chi produce il peso di mantenere cittadini che vanno in pensione a 62 anni e poi (fortunatamente) ne vivono in media altri 20. Non si cresce se ci si illude che il lavoro aumenti in un gioco a somma zero limitandosi a sostituire con altrettanti giovani coloro che andranno prima in pensione. Non si cresce con una partecipazione alla forza lavoro di giovani e donne fra le più basse dei Paesi industrializzati. Non si cresce se si pone a carico di chi lavora il peso di sussidi di disoccupazione permanenti perché erogati senza strumenti efficaci per incentivare le persone a trovare una nuova occupazione.

E per quanto riguarda le imprese, non si cresce se si puniscono le aziende che riescono a conquistare i mercati costruendo catene del valore internazionali, ad esempio investendo in Egitto per costruire lì un impianto per la trasformazione e la prima lavorazione del cotone. Non si cresce se si premia chi, invece che portare il made in Italy ovunque nel mondo, preferisce prosperare all’ombra di mercati protetti dallo Stato. Non si cresce se si perdonano gli evasori, aumentando le imposte a chi le tasse già le paga e le ha sempre pagate. Non si cresce se con annunci dissennati si fa capire che volentieri si lascerebbe l’euro, con l’unico risultato di seminare incertezza e far aumentare i tassi di interesse: per tutti, governo, imprese, cittadini. Non si cresce se invece di pensare a rafforzarsi integrandosi con i nostri partner nell’Ue si guarda alla Russia, un Paese il cui il reddito pro capite è la metà di quello tedesco.

La questione non è tanto mezzo punto di deficit in più per un anno o due. La questione è che questa manovra dimostra quanto il governo non stia facendo nulla per agevolare chi la crescita in questi anni l’ha realizzata, dalle imprese ai cittadini che producono. Dire, come ripetono Di Maio, Salvini, Savona, che con mezzo punto di deficit in più — speso in parte in misure che non incentivano a trovare un impiego — la crescita balzerà, il debito scenderà e la povertà sarà eliminata, è un insulto all’intelligenza dei cittadini.

Il ministro Tria ha cercato di opporsi a questa legge di Bilancio discutendo sui decimali del deficit, un argomento che i cittadini non hanno capito. L’importante non sono i decimali ma la direzione in cui si muove la politica di bilancio. Il ministro Tria ha perso la battaglia dei decimali, e anche la guerra della politica fiscale. Tanto più che la spinta agli investimenti pubblici — quando verranno realizzati, considerando i tempi biblici di queste opere nel nostro Paese anche in situazione di emergenza come dimostra Genova — sarà cancellata tutta o in gran parte dall’aumento dell’incertezza che riduce investimenti privati e consumi. L’aumento dei tassi di interesse farà il resto.

I segnali che l’Italia sta dando al resto del mondo sono molto preoccupanti. Non possiamo permetterci di far pensare a chi ci osserva che stiamo buttando a mare 70 anni di costruzione attiva dell’Europa, da Paese fondatore, per guardare a Est, a nazioni come la Russia ampiamente in crisi e non in grado nemmeno di risollevare se stesse. Per non parlare di aspetti ancora più preoccupanti sullo stato della loro democrazia. Quando scopriremo che il debito sarà insostenibile cosa faremo? Obbligheremo gli italiani a comprarlo? O speriamo in qualche amico proveniente dall’Est? E se anche fosse, a quali condizioni? Di manovre magiche gli italiani ne hanno viste in passato molte. Ancora una volta dall’illusione dei decimali e di una crescita per decreto, si dovrebbe passare a discutere di lavoro e sviluppo.

 

Fonte: Corriere della Sera, https://www.corriere.it/