Libertà e politica quelle finestre aperte sul futuro del mondo.

ELISA BIAGINI
Elizabeth Barrett Browning arrivò in città nel 1847 già malata e si stabilì a casa Guidi, dove compose un lungo poema dedicato a Firenze e ispirato al riformismo di Pietro Leopoldo. È sepolta al Cimitero degli Inglesi
L’erba è come di smeraldi e i fagiani volano tutt’intorno»: questa idilliaca (e poco contemporanea) descrizione delle Cascine, che troviamo in una delle prime lettere di Elizabeth Barrett Browning al suo arrivo a Firenze, è in verità scritta dalla prospettiva di un cane, non di un umano. È infatti il cocker spaniel Flush ad averli trascinati in questo parco divenuto da pochi anni pubblico grazie ad Elisa Baciocchi, come ci racconta Virginia Woolf nel suo delizioso Flush. Una biografia, pubblicata nel 1933 che ci racconta la vita dei coniugi Browning attraverso lo sguardo del loro amato cane, portato con sé nella loro precipitosa fuga da Londra. I due arrivano infatti a Firenze nel 1847, dopo una breve sosta a Pisa: la già famosa ma malata Elizabeth Barrett, dopo anni di reclusione londinese sotto il severo sguardo paterno, ha sposato di nascosto il meno noto poeta Robert Browning ed hanno deciso di scappare insieme a sud dove il clima è più mite e la vita meno cara (anche considerato che i due, presto tre, sopravvivevano solo grazie alla scrittura della Barrett. Robert diventerà famoso e ricco solo negli anni ‘70). Si stabiliscono a casa Guidi — dove via Maggio incontra Piazza San Felice e Via Romana — , in un porzione di Palazzo Ridolfi con otto finestre e «una specie di balcone… Che piacere avere un posto dove puoi camminare su e giù quando non hai voglia di scendere in strada», come scrive la poetessa alla sorella Arabella. Finestre che diventeranno celeberrime nel 1851 quando uscì il lungo poema
Le finestre di Casa Guidi, ispirato alla politica fiorentina degli anni ’40 sotto il riformista Pietro Leopoldo di Lorena ma anche una lettera d’amore alla città dove Elizabeth rimarrà fino alla morte nel 1861 (è infatti sepolta al Cimitero degli Inglesi), in seguito alla quale Emily Dickinson scrisse che «l’argento è andato in rovina insieme alla sua lingua-/mai, a memoria, ha gorgogliato un altro/ flauto-o donna-/così divina».
Come spiegato da EBB nella prefazione, Le finestre «è una semplice storia di impressioni personali il cui solo valore è l’intensità con le quali furono ricevute come prova dell’affetto per un bello e disgraziato paese» (una visione sempre attuale!) e se certamente si sviluppa come un arazzo che alterna riferimenti all’arte (Michelangelo e Giotto, fra i tanti) e al glorioso trascorso di Firenze con allusioni a personaggi a lei contemporanei come Mazzini e il granduca («non serviamo i morti-il passato è passato! »), siamo anche di fronte ad una celebrazione della libertà in tutte le sue forme («di fronte agli occhi degli uomini,/ alfine desti»). Quella personale (la fuga dal padre tiranno e da una condizione femminile tradizionalmente passiva) che è anche politica e sappiamo che oltre che vicina alla causa della liberazione italiana, la Browning parlò anche a favore della condizione femminile, dello sfruttamento dei bambini nelle fabbriche inglesi e contro la schiavitù negli Stati Uniti: «o benedetta conoscenza, benedetta libertà!/o benedetti diritti delle nazioni!». «Devo dire/cosa ha fatto il mio cuore battere con un amore esultante/ qualche settimana fa?»: l’occasione, raccontata in dettaglio anche dalla Woolf, era stata una lunga processione di fiorentini, passata appunto sotto le sue finestre, composta sia dal popolo che dai notabili della città con alla fine lo stesso Graduca Lorena per celebrare una serie di riforme promosse da quest’ultimo.
L’entusiasmo del « popolo, IL POPOLO» aveva contagiato la poetessa poi altrettanto ferocemente delusa quando le stesse vennero revocate un paio di anni dopo, anche questo descritto ampiamente nel testo (ma il colpo peggiore le sarà inferto dalla morte di Cavour nel quale aveva riposto molte speranze, avvenuto lo stesso anno del suo decesso). La finestra dalla quale si osserva e si racconta il mondo, occhio dello scrittore sempre attento a quanto gli accade intorno, che non si cela dietro le palpebre-tende: la soglia tra il mondo interiore ed esteriore, in un dialogo continuo.
E se verso la fine della lunga poesia, amareggiata da come si sono sviluppati gli eventi, ammette, «mi sono stancata di queste finestre», certo non può e non vuole chiuderle. «Ho sentito la scorsa notte un bambino cantare/sotto le finestre di Casa Guidi, vicino alla chiesa/O bella libertà, o bella!»: un canto che invoca giustizia, uguaglianza e dignità e che ci risuona ancora oggi nelle orecchie.
Fonte: La Repubblica, www.repubblica.it/