Libera, sfrontata, provocatoria: l’addio a Marina Ripa di Meana.

di Candida Morvillo

Morta a 76 anni. La lunga lotta con il cancro e l’idea del suicidio assistito in Svizzera.

È morta ieri nella sua casa romana Marina Ripa di Meana, nata Punturieri a Reggio Calabria il 21 ottobre 1941. Già duchessa Lante della Rovere dopo le prime nozze, sposò nel 1982 il marchese Carlo Ripa di Meana. Da oltre sedici anni combatteva contro un tumore. Stilista, sceneggiatrice, scrittrice (aveva pubblicato 14 libri), era un’animalista convinta. Aveva una figlia: l’attrice Lucrezia Lante della Rovere. Tra i suoi grandi amori, quello per il pittore Franco Angeli, al quale dedicò il libro «Cocaina a Colazione». Per suo volere non sono previste cerimonie funebri.

A lberto Moravia diceva di Marina Ripa di Meana, morta ieri a 76 anni, che non era un’artista, ma molto di più. Una volta, le scrisse: «Sei volubile come colui che segue il proprio “particulare” e questo è anche il tipico procedimento dell’arte: scansare come la peste le idee generali e tenersi al dettaglio». La lettera uscì su Playmen , anno 1980. Le avevano offerto molti soldi per posare nuda e lei era certa che sua madre ne sarebbe morta, al che Moravia e Goffredo Parise, che lei chiamava «i miei Dioscuri» come i figli di Zeus, si offrirono di nobilitare l’operazione accompagnando le foto con due scritti da intellettuale.

Per anni, i tre pranzavano insieme al Grand Hotel di Roma. L’unica regola era non parlare di letteratura, Marina sosteneva di non aver mai letto un libro, ma loro vedevano in lei, ai tempi stilista, «l’intenditrice di vita, l’annusatrice dell’aria», così raccontava alla Digital Edition del Corriere , un anno fa, già perseguitata da un cancro che l’aveva costretta a chemio, a tre operazioni al polmone, all’asportazione di un rene.

Quando, sessantenne, scoprì di essere malata, voleva gettarsi nel Tevere. Ma forse anche no, anche chi sa. La teatralizzazione era il «particulare» della sua arte e il dettaglio del Tevere l’utile spunto per narrare che la salvò Umberto Veronesi: «Mi telefonò mentre uscivo a buttarmi e mi disse che potevo farcela e l’idea di me che galleggiavo cadavere fra le carogne dei gatti era insopportabile. Forse, non mi sono suicidata per vanità». Ora, stavolta sul serio, aveva pensato al suicidio assistito in Svizzera. L’ha raccontato in un video testamento affidato a Radio Radicale e registrato pochi giorni prima di morire con Maria Antonietta Farina, la presidente dell’Istituto Luca Coscioni. Con lei ha capito che poteva invece percorrere la via italiana delle cure palliative con la sedazione profonda. «Fatelo sapere, le persone devono sapere», ha detto.

Era sofferente, ma ancora bella. Gianni Agnelli diceva che era la donna più bella del mondo. Se la contessa e amica Marta Marzotto era nei quadri di Renato Guttuso, lei fu la musa di Franco Angeli, suo grande, adultero, amore, fra il ’67 e il ‘75. Per Angeli, provò due volte l’eroina: voleva capire perché gli piaceva, voleva salvarlo. La foto che lui le scattò, sfolgorante in hot pants a San Pietroburgo, è ancora oggi l’immagine stessa della libertà e della sfrontatezza.

Marina Elide Punturieri aveva sposato prima Alessandro dei duchi Lante della Rovere nel 1964, da cui aveva avuto Lucrezia, poi nel 1982, il marchese Carlo Ripa di Meana, che le è stato vicino sino alla fine. Con lui, già eurodeputato e senatore, ha combattuto tante battaglie ambientaliste, comparendo anche nuda su manifesti contro le pellicce. La provocazione era la sua arte. Una volta, rovesciò della pipì addosso a Vittorio Sgarbi, reo di non aver voluto esporre una sua foto. «Piscio d’artista», poi fecero pace.

Il libro I miei primi 40 anni — e il film che ne trassero i Vanzina, protagonista Carol Alt — fece epoca. Della libertà, specie sessuale, Marina era portabandiera. Raccontava con allegria di quando stava sia con Roman Polanski sia con il produttore Bob Evans, che la voleva in Love Story , o di quando Agnelli la trovò a letto con lo scultore Eliseo Mattiacci e il pittore Gino De Dominicis, di quando l’industriale Roberto Gancia la manteneva al Grand Hotel e lei lo chiamava «sgancia» e di quando con Angeli non avevano una lira, lei vendeva un vestito, lui un quadro e passavano a saldare i conti.

Sino all’ultimo, è stata sotto i riflettori fra apparizioni tv e prese di posizione controcorrente, l’ultima sulla 27esima ora, a favore di Harvey Weinstein. In tv, a maggio, era stata da Barbara D’Urso con una veletta e il volto devastato da un’allergia ai farmaci, realizzando a suo modo una profezia di Moravia, che concludeva la lettera su Playmen scrivendo: «Poco importa se domani con un altro capriccio, un altro estro, distruggerai alla fine il tuo stesso ritratto. L’autodistruzione è il colmo del particulare». Ieri se n’è andata una donna che, se non era un’artista, ha però vissuto la vita come un’opera d’arte.

 

Sabato 6 Gennaio 2018, Corriere della Sera.

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