di Antonio Polito
Non sappiamo dire se Max Weber ci vedesse giusto, quando collegò lo spirito del capitalismo all’etica protestante e calvinista, ben più rigorosa di quella cattolica. Ma è certo che quanto sta emergendo sulla gestione della funivia di Stresa ha davvero poco a che fare con l’etica del capitalismo e molto con un’economia di rapina. Qualsiasi azione umana deve essere sostenuta da un principio morale di responsabilità verso gli altri, altrimenti è solo un episodio della guerra di tutti contro tutti, un atto di violenza e di sopraffazione. Lo Stato moderno è nato per impedirlo, garantendo così l’uguaglianza al posto del privilegio di pochi.
Sul Mottarone quel principio morale — stando al clamoroso sviluppo delle indagini, e con il beneficio del dubbio che sempre deve essere concesso agli accusati — è stato deliberatamente calpestato. Si è preferito non aspettare che le anomalie dell’impianto fossero riparate, pur di non interrompere un servizio appena ricominciato. E per farlo si è dolosamente disattivato il principale meccanismo di sicurezza: dalla riapertura dell’impianto, il 26 aprile, la funivia ha funzionato senza freni. Uno degli effetti collaterali del Covid è anche questo sconvolgimento nelle priorità, la paura di restare di nuovo fermi dopo il lungo fermo, e di perdere ancora guadagni.
Dovremo tenerne conto in tutti i campi della vita nazionale, elevando il livello di attenzione e di prudenza. Ma niente può giustificare la scommessa sulla vita degli altri. Perché di questo si è trattato a Stresa. Da un punto di vista morale, una scelta ripugnante.
In questi casi si dice che si è messo il profitto davanti a tutto. Ma non è neanche così. La scelta dei gestori di quell’impianto brucerà infatti il profitto cumulato degli altri 1.744 che ci sono in Italia. E la ragione l’ha detta con chiarezza in tv la presidente dell’associazione dei gestori: «Il prodotto che noi vendiamo è la sicurezza, non siamo un’autostrada dove la gente non può fare a meno di viaggiare, nessuno ha bisogno di prendere una funivia se non si sente sicuro al cento per cento». Questa sicurezza è stata fatta a pezzi. Un’intera industria è stata sabotata. Nelle società complesse noi ci fidiamo di due fattori: la legge e la tecnologia. Ogni volta che succede un disastro come questo ci viene ripetuto che nel nostro Paese abbiamo le norme più rigorose d’Europa, il sistema di controlli più frequente, gli standard più sicuri. E forse è anche vero, siamo feticisti dei regolamenti. Al tempo stesso nella nostra vita quotidiana ci affidiamo costantemente alla tecnologia, quando prendiamo un ascensore così come quando saliamo su un aereo, o prendiamo una funivia. Sapendo che, in ogni caso, c’è sempre un freno automatico, un meccanismo di ultima istanza che deve scattare in caso di incidente, impedendo il peggio. È sulla base di questa fiducia che facciamo tutto ciò che facciamo.
Ma trascuriamo il fattore umano. Perché dietro ogni norma, dietro ogni tecnica, c’è un uomo che compie scelte in base al suo libero arbitrio; e noi dipendiamo da quello, dalla sua scala di valori, dal rispetto per gli altri che lo anima, dal suo senso del dovere. Di nuovo, dopo l’orribile strage del Ponte Morandi, dobbiamo costatare che l’avidità dell’uomo corrode la sua fibra morale come l’umidità e l’usura fanno con i cavi d’acciaio. Ma se peccare è umano per il singolo, è diabolico in organizzazioni complesse quali sono le aziende, che dovrebbero essere invece rette da standard di deontologia e da procedure automatiche, e in cui la catena decisionale è concepita proprio per impedire che ci si metta d’accordo per violare le regole e saltare i controlli.
Dante mette nel quarto cerchio dell’Inferno coloro che hanno peccato di rapacità del denaro e del potere, li condanna a trascinare in tondo col petto pesanti massi. La giustizia degli uomini deciderà la pena per chi a Stresa ha preferito l’avidità all’umanità. Ma un giorno qualcuno dovrà spiegare a un ragazzo di nome Eitan che cosa gli ha tolto così presto la felicità. Sarà il nostro contrappasso. Perché un Paese migliore non potrà esistere senza uomini migliori.