di Francesco Grillo
Per gli abitanti della città che inventò gli acquedotti, la prospettiva di poter rimanere senz’acqua deve essere sembrato l’ultimo affronto nella storia di un declino senza fine. Tuttavia è concreta, e non solo a Roma, l’idea che sia l’acqua — e non il petrolio — la risorsa scarsa destinata a mettere in crisi definitivamente un benessere fragile e ad innescare i conflitti del futuro. È il fantasma della siccità quello agitato da questa estate torrida, la più calda da quando abbiamo cominciato a misurare le temperature, accompagnata dalle immagini di barconi che ci portano a casa centinaia di migliaia di giovani che scappano da deserti senza acqua. Il rischio non è solo quello di fare i turni per accedere a ciò che diamo per scontato; ma anche di dover subire migrazioni di chi fugge dalla sete che è nemico ancora più subdolo della guerra.
Quella dell’acqua è una crisi creata da quatto potenti forze.
La prima è la forbice malthusiana che — a tecnologie costanti — progressivamente porta in disequilibrio società caratterizzate da crescite composte di popolazione e consumi a fronte di risorse finite: ciò sta esaurendo, come avverte l’Onu, le fonti non rinnovabili di acqua potabile (quelle sotterranee). In secondo luogo c’è il cambiamento climatico che ha già prodotto — sono dati oggettivi che nessun scettico può mettere in dubbio — un innalzamento della media delle temperature registrate in estate nell’emisfero settentrionale, una loro più elevata variabilità e una riduzione delle piogge che riempivano i laghi ed i bacini di superfice.
L’innovazione è stata, poi, inferiore nelle reti che captano, distribuiscono e smaltiscono acqua, rispetto a quella vista nelle infrastrutture dell’energia: ciò perché quella idrica non è un’industria immediatamente globale (l’acqua si esporta poco), la concorrenza è inferiore; ed è più difficile, persino, la diffusione di quei modelli di autoconsumo (abilitati nel settore energetico da energia solare e griglie intelligenti e che per l’acqua sono possibili solo per chi è vicino ad un pozzo) che stanno rivoluzionando altri settori. Infine, pesa sull’acqua l’illusione — che l’uomo si è fatta vedendosi circondato da mari che non sono però bevibili — che essa sia illimitata. Ciò determina, nella fissazione del prezzo, errori grossolani che generano sprechi enormi.
Il risultato finale è un autentico paradosso: società tecnologicamente avanzate, sono costrette a considerare la possibilità di ritrovarsi senza la sostanza nella quale nasce la vita e la civiltà. E la cui mancanza può far saltare tutto il resto: dall’agricoltura di qualità ai robot. Una strategia che disinneschi la bomba d’acqua che già porta i popoli della terra a scontrarsi tra di loro (com’è successo in Yemen, Somalia e Siria) si articola in tre capitoli che uniscano le tante crisi domestiche in una politica mondiale.
Intanto dobbiamo fissare in maniera corretta il prezzo dell’acqua per incoraggiare il risparmio. In Italia, ad esempio, un litro di acqua potabile costa la millesima parte di un euro. Con il costo di una tazzina di caffè, un abitante di Roma può permettersi di consumare 150 litri di acqua al giorno (di cui la metà per la doccia) per una settimana. In una sola giornata un francese consuma l’acqua a cui accede un algerino in un mese. A Copenaghen si paga già in media dieci volte di più che a Milano, ma una soluzione migliore sarebbe quella di stabilire un minimo da garantire (anche gratuitamente) a tutti, al di sopra del quale si entra nella logica di un mercato regolato in maniera tale da assicurare il diritto all’acqua anche delle generazioni future.
In secondo luogo, l’innovazione. Una rete che faccia uso di sensori, di robot e di materiali che si auto riparano per ridurre le perdite, può essere meno costosa e più efficace: sono questi i progetti che possono fare la differenza per il direttore generale della società che gestisce il servizio idrico di una regione difficile come la Sardegna. In Israele usano sistemi di irrigazione mirata (alla radice delle piante) per invertire i processi di desertificazione che incombono sul Mediterraneo.
Occorre, infine, stabilire un mercato globale dell’acqua nel quale Paesi diversi si scambino conoscenze, tecnologie e persino materia prima. Accanto ad uno molto distribuito che incoraggi interi quartieri, come quelli nella periferia di Londra, a usare acqua piovana per soddisfare il proprio fabbisogno e vendere alla rete ciò che non consumano. In Africa i cinesi stanno costruendo fabbriche; per gli europei «aiutarli a casa loro» significa investire nella ricerca sui dissalatori e in reti idriche differenziate, senza le quali lo sviluppo si ferma.
L’acqua è all’origine dell’idea stessa di Occidente. Può essere l’occasione giusta per ricordarci che la nostra civiltà si fonda sull’idea che i problemi si risolvono comprendendone la natura e senza aspettare che ci piombino addosso facendoci capire che globalizzazione e quotidianità sono legate.
- Domenica 27 Agosto, 2017
- CORRIERE DELLA SERA