di Massimo Franco
Il crocevia era troppo vistoso per non provocare contraccolpi. Consegnare all’ex premier grillino Giuseppe Conte il collegio di Roma dove storicamente vincono a man bassa i candidati del Pd, doveva essere la sublimazione dell’alleanza tra il partito di Enrico Letta e i 5 Stelle; e una mezza assicurazione sul controllo di una parte dei parlamentari del Movimento alla vigilia del voto per il Quirinale, se Conte fosse stato eletto alla Camera. Era prevedibile la reazione di Carlo Calenda e di Matteo Renzi, due leader di una nebulosa centrista che evocano il patto Pd-M5S come il male assoluto. E soprattutto di Calenda, arrivato terzo nella corsa di ottobre al Campidoglio; e deciso a candidarsi per contrastare l’operazione Conte. Fino a ieri mattina sembrava che l’accordo fosse solo da perfezionare, dopo averlo chiuso politicamente. Ma nelle ore successive la manovra si è complicata, evidenziando il timore che la marcia trionfale potesse diventare una trappola. E presto le «perplessità» di Conte sono diventate un «no». Ma la vicenda in sé sottolinea le ambiguità del dialogo tra sinistra e grillismo. Incrociano sia gli schieramenti per l’elezione del prossimo capo dello Stato; sia quelli elettorali futuri; sia le tensioni striscianti nello stesso Pd e nelle file dei 5 Stelle, coinvolgendo la stessa leadership di Conte. Anche perché mentre l’ex premier coltiva l’alleanza col Partito democratico, le manovre per conquistare spezzoni del Movimento si infittiscono a 360 gradi. Con un occhio alla propria candidatura al Quirinale, Silvio Berlusconi ieri ha riconosciuto al M5S il merito di avere «dato voce a un disagio reale che merita rispetto». I consensi antisistema sarebbero scaturiti «dallo stesso disagio e dallo stesso fastidio per un certo tipo di politica, per i quali è nata Forza Italia». Appare un tentativo di conquistare la benevolenza grillina nella speranza di orientare una parte di quei voti a proprio favore, dopo anni di insulti reciproci. Nell’operazione spregiudicata di Berlusconi, però, si può intravedere qualcosa di più: una sorta di rivendicazione della primogenitura del populismo dopo la fine della Guerra fredda, seppure declinato in chiave moderata. Insomma, il Cavaliere e Forza Italia come picconatori del vecchio sistema, e apripista di un cambiamento che ha spazzato via le vecchie forze politiche e ridisegnato il sistema dal 1994 in poi. Il problema è che è passato molto tempo. Il suo partito si è rimpicciolito, dopo essere stato tra quelli accusati dal grillismo di ogni misfatto. Ma probabilmente, Berlusconi conta sul fatto che lo stesso Movimento è cambiato e invecchiato dal punto di vista politico. Perde colpi e voti. E appare così disperato da non escludere più nessuna sponda.