Lavoro, Rai, giustizia. L’agenda di Draghi per i dossier più caldi

di Francesco Verderami

E sul fisco il premier non accetterà bandierine di partito

 

ROMA Il tornante più difficile della pandemia sembra alle spalle ma non per questo il percorso del governo sarà ora in discesa. Piuttosto Draghi dovrà affrontare una sorta di tappone dolomitico per via dei dossier che affollano la sua scrivania. Come dice un esponente dell’esecutivo, il premier è tornato dal G7 con «una forte investitura di leader internazionale, da gestire a livello nazionale nei prossimi mesi. Che saranno decisivi».

Il primo appuntamento è atteso per fine giugno, quando scadrà il decreto che blocca i licenziamenti. La decisione di fatto è già presa e i leader sindacali hanno inteso negli incontri a Palazzo Chigi che non ci sono molti margini per ulteriori compromessi. «Mi rendo conto che si possano produrre difficoltà e suscitare preoccupazioni», ha spiegato loro Draghi: «Ma c’è una fase importante da cogliere, che è la ripartenza del Paese». Perciò il segretario della Cisl se l’è presa con i partiti: «Quale credibilità hanno se in Consiglio dei ministri approvano la fine del blocco e poi presentano in Parlamento decine di emendamenti che sconfessano il provvedimento ma che finiranno nel vuoto?».

L’interrogativo di Sbarra evidenzia lo squilibrio nei rapporti di forza tra il premier e la sua maggioranza. Squilibrio che si riproduce su tutti i dossier. Compreso quello Rai. Dopo le nomine nelle grandi partecipate, i partiti vorrebbero contare sulla scelta del presidente e dell’ad, che saranno chiamati a gestire la tv di Stato nei passaggi più delicati dei prossimi anni: le Amministrative, la corsa per il Colle e le Politiche. Tanto basta per capire quanto sia frenetica l’attesa nel Palazzo, dove si punta l’indice verso Draghi.

La linea

Dentro il governo scommettono che interverrà anche sulla riforma giudiziaria

Ma se l’assemblea della Rai è stata rinviata a luglio, «la responsabilità — accusa il renziano Anzaldi — è dei partiti che non sono stati finora capaci di accordarsi sui loro rappresentanti in cda». Nell’attesa Draghi tiene le carte coperte, per quanto — secondo un autorevole ministro — sia «già indirizzato verso una forte figura manageriale per il ruolo di ad, e verso un presidente, magari donna, evocativo del mondo della cultura». Si vedrà se gli identikit corrisponderanno e se gli «esterni» sui quali il premier starebbe puntando accetteranno un ruolo che a livello di stipendi non può competere con gli ingaggi del settore privato.

In ogni caso la vicenda mette in risalto un altro aspetto della strategia di Draghi, che usa ovviamente anche il timing come strumento per dettare la linea. Sulla giustizia, per esempio, non è ancora intervenuto per rompere le resistenze sulla riforma, causate dal gioco di veti dei partiti ma anche da proposte tecniche ritenute per nulla incisive. «Al momento opportuno — scommette un rappresentante del Consiglio dei ministri — ci attendiamo un suo intervento in sintonia con il Quirinale…». Nel risiko del potere e nel quadro di riassetto del sistema, Draghi ha davanti a sé tre autentici gran premi della montagna: i dossier di Ilva, Mps e Alitalia, eredità (anche) del governo Conte. Sul colosso della siderurgia pesa l’incognita dei conti. Sulla banca — come spiega una fonte accreditata — «la ricerca del partner è più ingarbugliata di quanto si pensasse». E sulla ex compagnia di bandiera non è risolta la vertenza con l’Europa.

Tutto ciò avviene mentre si avvicina la scadenza di luglio per la legge delega sulla riforma del fisco. Anche qui le forze politiche cercano di avere un ruolo, «ma — ammette un sottosegretario — sarà tosta trovare un’intesa, dato che i partiti sono in ordine sparso, le risorse sono poche», e poi — come ha anticipato il premier — «non si potranno abbassare le tasse». Quale sarà l’indirizzo del capo del governo è ancora per gran parte ignoto alla sua maggioranza: «Si parla di un sistema simile a quello tedesco», con una forma cioè di tassazione progressiva. L’unica cosa certa è che Draghi farà strame delle bandierine di partito.

 

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