L’aula vuota a Strasburgo ci condanna alla paralisi

Articolo tratto da Il Messaggero a firma di Giuliano Da Empoli

 

Joseph Muscat è il primo ministro, appena rieletto, di un piccolo stato coraggioso e ben governato, Malta, collocato sulla frontiera incandescente del dramma dei migranti e dei tanti conflitti che agitano il Mediterraneo. Ieri,  chiudendo il semestre di presidenza del suo paese, ha pronunciato parole importanti davanti al Parlamento Europeo.

Ha detto che dovremmo vergognarci per lo scarso livello di solidarietà mostrato dai membri dell’Unione e ha messo
a disposizione la marina militare maltese per qualsiasi intervento umanitario. Peccato che ad ascoltarlo, nell’emiciclo di Strasburgo, ci fossero non più di una trentina di europarlamentari, sui 751 che compongono il massimo organo di rappresentanza popolare della UE.

Un episodio che dovrebbe farci riflettere sull’abisso che separa tuttora i proclami europeisti dalla realtà dei fatti.
Certo, è indiscutibile che le pressioni esterne (Brexit, elezione di Trump), unite alle sconfitte registrate dai movimenti populisti in Austria, in Olanda e soprattutto in Francia abbiano determinato un clima in parte nuovo. Ma sarebbe pericoloso illudersi che i fattori di blocco siano improvvisamente scomparsi.

Joseph Muscat

La costruzione europea è prigioniera di un’architettura istituzionale inadeguata, fatta di rituali stanchi e di mediazioni interminabili. Se ad esempio il Parlamento europeo non fosse costretto a dividersi tra due sedi, Strasburgo e Bruxelles, distanti 440 chilometri l’una dall’altra, funzionerebbe certo in modo più efficiente Ma al di là dei vincoli istituzionali, l’Unione resta una comunità profondamente divisa, guidata, salvo pochissime eccezioni, da
leadermiopi e spaventati, incapaci di uscire dalla routine delle contingenze elettorali per collocarsi sull’orizzonte più ambizioso della storia e delle sfide epocali che stanno investendo il nostro continente (con Kohl se n’è andato l’ultimo esponente della generazione che, nel bene e nel male, aveva saputo farlo).

Lo stiamo vedendo nel caso dei migranti. Nel quale almezzo accordo di domenica tra i ministri degli Interni di Italia, Francia e Germania sono seguiti, lunedì, distinguo e retromarce,mentre il “progressista” governo austriaco schierava i carri armati alla frontiera con l’Italia, forse con l’intenzione di trasmettere il messaggio che qualsiasi individuo dalle fattezze non ariane dovesse azzardarsi a varcare il confine sarà preso a cannonate. Vedremo quali saranno le
evoluzioni dei prossimi mesi,ma sarebbe ingenuo pensare che una soluzione condivisa della crisi migratoria sia dietro l’angolo. Lo stesso vale per le altre partite aperte sullo scacchiere europeo. Certo, il partito di Angela Merkel ha iscritto il rilancio dell’Europa, a partire dal motore franco-tedesco, nella piattaforma elettorale del suo partito, presentata a inizio settimana.

E certo la cancelliera ha dimostrato di essere capace di accelerazioni fulminee. Lo ha fatto quando ha chiuso in pochi giorni l’accordo tra Europa e Turchia per chiudere la rotta delle migrazioni balcaniche. E di nuovo, pochi giorni fa, quando con unamossa a sorpresa ha introdotto il matrimonio gay in Germania.

Nessun segnale concreto, però, lascia pensare che la stessa determinazione sarà applicata prossimamente alle  questioni che stanno più a cuore all’Italia e agli altri paesi del Mediterraneo.

Artico de Il Messaggero