L’atto d’accusa ai vertici “Sapevano dei pericoli ma sono rimasti inerti”

La relazione degli ispettori del ministero: misure di contenimento partite in ritardo Nel mirino anche la gestione della Regione: ha privilegiato gli ospedali rispetto alle Rsa
di Floriana Bulfon
«Non si può sottacere una certa inerzia sia dei vertici dell’Agenzia di tutela della salute sia del Pio Albergo Trivulzio che, pur consapevoli della fragilità dei pazienti e della necessità di proteggere loro e gli operatori sanitari, si sono attivati con considerevole ritardo». Eccolo, il primo colpo al muro di gomma costruito per nascondere la verità sulla strage di anziani nel Pio Albergo Trivulzio. Lo mettono nero su bianco gli ispettori del ministero della Salute: una relazione preliminare, ancora incompleta, ma che si trasforma in un atto d’accusa sulla gestione della crisi da parte di tutta la Regione Lombardia. Responsabile di non avere «applicato in maniera tempestiva le misure» per difendere gli anziani ospiti nelle case di cura.
Il doppio binario
Gli ispettori evidenziano i pericolosi limiti della strategia adottata dalla giunta presieduta da Attilio Fontana. Di fronte all’emergenza è stato creato un «doppio binario», che sin dall’inizio ha privilegiato gli ospedali a scapito delle residenze per anziani. E lo ha fatto disobbedendo alle direttive del governo. «Le azioni di contenimento indicate dal ministero della Salute non sono state applicate in maniera tempestiva e hanno seguito un doppio binario a due velocità», recita il rapporto. Mentre si concentravano le energie sugli ospedali lombardi, nelle Rsa «non sembra si sia creato un raccordo rapido e il massimo sforzo che sarebbe dovuto avvenire anche per le caratteristiche di fragilità dei pazienti ricoverati». Laddove proprio la realtà della Lombardia — sottolineano — con una presenza di moltissime case di cura per la terza età avrebbe imposto una reazione immediata.
Cronaca di una strage
Il Pio Albergo Trivulzio è l’epicentro dei ritardi. C’è un’inerzia letale da parte dei vertici dell’istituto milanese — ora indagati dalla magistratura per strage e omicidio colposi — che non reagiscono davanti alla crisi. Perdono giorni preziosi prima di muoversi e prendere provvedimenti contro l’epidemia, «attendendo indicazioni da parte della Regione per attuare le misure di contenimento ». Ma le indicazioni c’erano già, fornite a tutta Italia dal ministero della Salute con una circolare del 22 gennaio. Un documento chiarissimo: dice che i malati vanno visitati in un’area separata dagli altri pazienti e raccomanda che il personale sanitario indossi mascherina di tipo FFp2, camice impermeabile, guanti, protezione facciale. Più in generale, scrive che bisogna prendere le massime precauzioni per proteggere le residenze per anziani perché il virus miete vittime soprattutto tra queste persone deboli. Ma al Pio Albergo Trivulzio quelle misure «sono state poste in essere ad opera di una costituita “unità di valutazione” presieduta dal dottor Pierluigi Rossi e dalla dottoressa Rosella Velleca solo il 23 febbraio e le attività ambulatoriali e i ricoveri sono stati sospesi solo il 13 marzo ».
Le mascherine
E come se non bastasse, gli ispettori sottolineano le contraddizioni riguardo alla distribuzione e all’utilizzo delle mascherine. I vertici della Baggina davanti alla commissione ministeriale hanno sostenuto di «aver dato le prime indicazioni già nei giorni successivi al 23 febbraio, messo a disposizione del personale mascherine FFp2 e FFp3, oltre ad aver isolato in stanze singole i pazienti con sintomi, posto in quarantena un numero imprecisato di operatori sanitari, pubblicato bollettini informativi e formato il personale anche con corsi online ». Peccato che le mascherine risultino distribuite solo dopo l’approvvigionamento da parte della Protezione civile. Accade il 24 marzo. Un mese di vuoto in cui il morbo ha continuato a diffondersi stanza per stanza.
Dovevano agire subito
Le risultanze degli ispettori confermano le testimonianze raccolte al Trivulzio da Repubblica, come le dichiarazioni del professor Luigi Bergamaschini: «A fine febbraio ci poniamo il problema di utilizzare le mascherine. Ci rispondono che non ce ne sono. Chi riesce se le procura. E io ovviamente, ignorando i rimproveri, ne autorizzo l’impiego». Per questo motivo sostiene di essere stato rimosso dai vertici dell’istituto. Ma nelle valutazioni sul “doppio binario” dell’emergenza c’è la conferma della gravità della scelta fatta dalla giunta lombarda, che ha dirottato verso quindici residenze per anziani private i malati di Covid-19 dismessi dagli ospedali. Una decisione che violava le direttive nazionali. E che può aver contribuito a moltiplicare la proliferazione del virus. Perché nessuno ha controllato che il Trivulzio e le Rsa private fossero in grado di garantire l’isolamento dei pazienti.
Il rimpallo di responsabilità
Il governatore Fontana ieri ha dichiarato di essersi «adeguato alle indicazioni dei tecnici», scaricando la responsabilità delle verifiche sulle Ats, le Agenzie per la tutela della salute che in Lombardia hanno lo stesso ruolo delle Asl. In pratica, tutto sarebbe avvenuto con un’autocertificazione. «Hanno dovuto compilare una check list che noi abbiamo predisposto fin dai primi giorni dell’epidemia. Sulla base delle loro risposte, abbiamo richiesto documenti a conferma», ha detto a Repubblica il direttore dell’Ats di Milano Walter Bergamaschi. Ma secondo gli ispettori proprio «i vertici dell’Agenzia tutela della salute sono competenti per la sorveglianza». Mentre quelli del Trivulzio «sono dotati di autonomia gestionale»: dovevano agire subito, invece «si sono attivati con considerevole ritardo». E le foto delle bare accatastate nella cappella della Baggina mostrano quale sia stato l’effetto della loro inerzia.
www.repubblica.it