LASCIATI SOLI ANCHE DA NOI.

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Da Corriere della Sera del 08/01/15

Tutti dicono: non cederemo. Purtroppo abbiamo già ceduto quando, impauriti e indossando buoni sentimenti ecumenici, lasciammo solo Charlie Hebdo che pubblicava le vignette danesi che satireggiavano sull’Islam. Al settimanale non condividevano quelle vignette e ne detestavano il cattivo gusto. Ma, libertari e anticonformisti, irriverenti e lontanissimi dall’ideologismo militaresco della satira nostrana, le pubblicarono lo stesso. Non ci siamo accorti che, lasciando soli i giornalisti e i vignettisti di Charlie Hebdo, li esponevamo alla vendetta del fanatismo islamista. Non c’eravamo accorti dell’assassinio rituale del regista Theo van Gogh in Olanda. Non c’eravamo accorti che il vignettista Kurt Westergaard era stato costretto a rifugiarsi in una stanza blindata mentre due energumeni tentavano di trucidarlo a colpi d’ascia.
Non c’eravamo accorti della persecuzione dell’«infedele» Ayaan Hirsi Ali, in fuga da fondamentalisti che vogliono azzannarla per farle pagare con la vita la sua «apostasia». Non c’eravamo accorti che non solo Salman Rushdie era costretto a fuggire per sottrarsi a una fatwa planetaria, ma che il suo traduttore giapponese, Hitoshi Igarashi, era stato sgozzato e quello italiano, Ettore Capriolo, lasciato in una pozza di sangue, vivo per miracolo, mentre intellettuali prestigiosi in tutto il mondo accusavano l’autore dei Versi satanici (neanche letto, peraltro) di essersi meritata la condanna a morte per aver offeso Maometto.

Ce ne siamo accorti ora, che con la strage di Charlie Hebdo abbiamo vissuto ieri l’11 settembre dell’Europa. Non è un paragone esagerato, anche se il numero delle vittime è di molto inferiore. Il paragone consiste nell’alto valore simbolico delle due carneficine. Nel 2011 si volle colpire con le Torri Gemelle il simbolo della ricchezza, del potere, dell’Amerika, dell’Impero, dell’Occidente opulento e «infedele». Ieri, massacrando la redazione di un giornale satirico, si è voluto colpire il simbolo della libertà, dell’opinione eterodossa, del dissenso sarcastico .

Nella guerra culturale che il fondamentalismo jihadista ha scatenato contro il nostro «stile di vita», la libertà la critica, l’ironia, l’irriverenza, il rifiuto del dottrinarismo autoritario, la pluralità dei valori sono il Male da sradicare, il peccato da estirpare, la depravazione da colpire. In Pakistan e in Nigeria colpiscono le scuole, i libri, le ragazze che vogliono frequentare le aule scolastiche. In Europa vedono l’antitesi di ciò che vorrebbero imporre con la forza delle armi: la sottomissione (come recita il titolo del romanzo di Michel Houellebecq), l’obbedienza assoluta, la censura universale, la liturgia della subalternità, la cancellazione di ogni tentazione critica.

Essenziale delle democrazie europee e occidentali, amava ricordare il compianto Lucio Colletti, è la «critica di se stessi», il continuo riesame delle opinioni dominanti, l’autoscrutinio minuzioso e quasi maniacale nella sua intransigente volontà di non lasciare alcunché di indiscusso, di dogmatico, di tramandato.

La satira, banalizzata nella normalità della comunicazione politica ordinaria, diventa invece un’arma micidiale per i fondamentalisti, i fanatici, i sacerdoti di regimi oppressivi e asfissianti. La satira accoppia cultura e sorriso, ironia e critica. Le sue vignette non portano solo argomenti freddi, ma impongono una loro estetica e anche l’arte, l’estetica, le immagini, i colori, la stessa raffigurazione del sesso sono tentazioni demoniache che i custodi di una dottrina implacabilmente totalitaria non possono letteralmente sopportare.

Ora sui social network dilaga il motto «Je suis Charlie». Magari fosse vero. Magari ci si rendesse conto della solitudine in cui abbiano confinato i disegnatori e i giornalisti del settimanale satirico che i fanatici islamisti ieri hanno voluto annientare. Sarebbe il caso che chi li criticò nel 2006, indicando il settimanale come «oggettivo» fomentatore della guerra di religione, si astenesse oggi dalla virtuosa identificazione con le vittime del massacro. Sarebbe il caso di capire in cosa consiste il valore della libertà, della libertà culturale, della libertà d’opinione, della libertà delle donne, della libertà di stampa, della libertà di satira. Delle libertà che anche alcuni figli della nostra Europa, non solo gli «alieni» che vengono da un mondo lontano, anche chi parla perfettamente inglese o francese perché in quelle lingue è cresciuto, considerano un peccato da punire, anche con la morte violenta.

Sarebbe il caso di capire bene, nell’Europa un po’ stordita e un po’ esausta, chi sono i nemici, senza edulcorazioni dettate dall’opportunismo. Senza isterismi di reazione, ma con la calma della ragione, con la forza di valori che non vorremmo veder scomparire. E per dire «non cederemo»: ma stavolta sul serio.