L’arte per tutti di Anselm Kiefer

Ecco com’è nata la mostra veneziana di uno dei geni del contemporaneo Che abbiamo intervistato nel prossimo numero di “Robinson”
di Gabriella Belli
Sono trascorsi quasi tre anni da quando, nell’estate 2019, ho visitato lo studio di Kiefer a Barjac, vicino a Nizza, un tempo che ora ci appare terribilmente felice.
Punti di vista si potrebbe dire, ma è certo che in quell’estate tutto sembrava andare per il meglio: Venezia brulicava di persone, turisti e appassionati si accalcavano nei nostri musei, cittadini da tutto il mondo godevano della sua bellezza e noi progettavamo il futuro dell’arte.
Fu in quell’estate che condivisi con Janne Sirén l’idea di invitare Anselm Kiefer a Venezia. Lo scopo? Riformulare un concetto d’arte pubblica nelle istanze del nostro tempo contemporaneo, o, meglio, dovrei dire di quel tempo che ci stava precipitando addosso. Ma ancora non lo sapevamo.
Volevo realizzare con Kiefer un progetto di arte pubblica nel senso più semplice del termine: pittura come strumento per la collettività, per interrogarsi e riflettere sul valore dell’arte e su quanto la sensibilità di quest’artista straordinario avrebbe potuto catturare e restituirci del nostro tempo presente. E volevo mettere alla prova la capacità di un edificio antico e pieno di storia come Palazzo Ducale di confrontarsi – per la prima volta con tale rilievo – con l’arte contemporanea, d’essere nuovamente, come nel lungo tempo della Repubblica Serenissima, parte attiva nella relazione con i cittadini e con i visitatori, d’essere un luogo dove la creatività potesse svolgere appieno la sua libera funzione di rappresentare e farsi interprete della complessità del proprio tempo. Ma quello che è successo a Venezia e nel mondo dopo quell’estate, l’Acqua Granda del 12 novembre 2019, che ha invaso quasi tutti i nostri musei provocando danni ingenti e obbligandoci a chiusure forzate, quel lungo silenzio e quelle solitudini che abbiamo chiamato lockdown nello scorrere lento dei primi mesi del 2020, e ora la guerra, mai così devastante, ha richiesto una continua messa a fuoco delle ragioni di quell’invito, perché fosse sempre attuale il senso dell’azione culturale del museo. In questo contesto così complesso Kiefer aveva iniziato a dipingere.
Nel bellissimo libro di Kiefer L’arte sopravvivrà alle sue rovine ,
una preziosa raccolta di lezioni tenute al College de France tra il 2010 e il 2011, c’è un capitolo molto interessante, autobiografico, che parla del «carotaggio geologico », ovvero della stratificazione delle sensazioni che in tempi diversi costruiscono l’insieme della nostra percezione, dove tutto si somma e nulla si esclude: «Non faremo fatica ad accettare – scrive Kiefer – che la percezione di una poesia o di un’opera d’arte possa essere il risultato dell’addizione delle diverse interpretazioni che ne diamo in diversi momenti della nostra vita».
Kiefer porta l’esempio di una poesia di Rimbaud intitolata Marina : alla prima lettura sentì come se in lui si fosse «allentato qualche cosa, come se fosse avvenuto l’irreparabile», ma nel tempo era riuscito a coglierne il suono e la musicalità della lingua e poi il significato dei vari elementi costitutivi.
Nelle diverse fasi della vita per Kiefer il senso di questa poesia ha subito una metamorfosi di significati stratificati e sempre più profondi.
Nello stesso modo in questi tre anni il ciclo delle opere che Kiefer andava via via dipingendo subiva ai miei occhi una metamorfosi continua di significato rispetto alla sua possibile relazione con il Museo e con Venezia, passando da un progetto, come all’inizio fu per noi committenti, destinato a confrontarsi con uno spazio pubblico nella piena libertà dei contenuti ad un più solenne e partecipato lavoro che di Venezia portava le stigmate (avevamo nel frattempo celebrato quasi in pieno lock-down i 1600 anni dalla nascita della città) e che dunque giustificava appieno la sua “occupazione” del suolo pubblico (ricordo in quel momento d’aver visto un raro cielo stellato dove sventolava il vessillo di San Marco).
E, infine, con un’inversione di significato radicale, che coinvolge il senso generale dell’opera anche suggerito dalla sua brutale ed evocativa intitolazione, questi libri quando verranno bruciati daranno finalmente un po’ di luce, ad un compianto laico di forte tensione, dove tutto si ribalta e mescola in una narrazione simultanea che sovrappone storia a storia, non più narrazione, ma epopea di un messaggero che porta notizie contrastanti dal mondo. Il lavoro di Kiefer ha finalmente trovato la sua collocazione nel nostro immaginario ed è con questo significato che è entrato a Palazzo, dove continuerà la sua metamorfosi negli occhi e nelle menti del nostro pubblico.
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