di Carlo Vulpio
Dimentichiamo per un attimo tutto ciò che pensiamo sia «arte concettuale» ed entriamo a Palazzo dei Normanni, dove, nelle sale del Duca di Montalto, dal 9 luglio è aperta al pubblico una mostra affatto particolare, intitolata Purification. Art and Spirituality. Diciamo subito che il titolo e i testi del catalogo in inglese sono una scelta precisa: la mostra tratta temi assoluti e universali, e affinché la comprendano tutti è stato scelto l’inglese, la lingua del mondo. E diciamo anche che si tratta di una mostra che in realtà ne contiene due: la prima, dominata dalle cinque videoinstallazioni di un nome «sacro» dell’arte contemporanea, Bill Viola, maestro della videoarte e della slow-motion; e poi, senza soluzione di continuità, la seconda, allestita con i louterion e le edicole in pietra del V secolo avanti Cristo, le acquasantiere e i bacili in argento cesellato del XV secolo, le maioliche policrome del XVI, i meravigliosi paliotti del XVII, più un’altra grande videoinstallazione — la riproduzione in digitale del mosaico Fiat firmamentu in medio aquarum dalle scene della Creazione della Cappella Palatina — che con un gioco di specchi in alto e in basso proietta lo spettatore nell’alto dei cieli o all’inferno, in entrambi i casi in uno spazio misterioso e infinito. Un’opera che è stata realizzata dai giovani videoartisti siciliani della Sinergie Group e «regge» la presenza di quelle del Maestro Viola.
Senza queste «avvertenze per l’uso» non si capirebbe perché questa è una mostra unica, e perché l’orientamento della Fondazione Federico II, diretta da Patrizia Monterosso, sia quello di preferire l’ideazione e la produzione di grandi mostre «in house» (l’ultima è stata Terracqueo, sul mare Mediterraneo) alla importazione di «mostre pacchetto», suggerite quasi per inerzia attraverso quelle vie che usiamo definire circuiti culturali.
La purificazione è tema spirituale e religioso, ma anche troppo umano, e nelle opere di Bill Viola esposte a Palazzo Reale si compie sempre con l’uomo o con la donna (sette miliardi di Adamo ed Eva) per mezzo dei quattro elementi cosmici, l’Acqua, l’Aria, la Terra, il Fuoco, che annichiliscono l’essere umano ma al contempo lo trasportano in un’altra dimensione, lo trasformano, lo purificano. Di questo «passaggio» l’individuo è testimone diretto, cioè, letteralmente, «martire», e quindi le quattro opere — interpretate da quattro attori — sono altrettanti martirii e per questa ragione sono intitolate Water, Air, Earth, Fire Martyrs. La quinta opera è il video Tristan’s Ascension, forse il più bello, che riprende il mito dell’infelice amante della regina Isotta morto come lei di dolore a causa del loro amore impossibile. Viola però fa «risorgere» Tristano, che dalla tomba ascende al cielo «al rallentatore» a mano a mano che la pioggia si fa sempre più fitta, fino a quando diventa torrenziale e Tristano esce dallo schermo, sparisce.
I video di Bill Viola sono realizzati come veri e propri film, girati negli studi cinematografici di Los Angeles con cura maniacale per ogni dettaglio e forti della pregressa formazione «classica» che Viola, nato a New York da genitori italiani, ha maturato e introiettato a Firenze negli anni Settanta, quando cominciò ad applicare la tecnica della neonata moviola (ironia dei neologismi e dei nomi propri) ai capolavori del Rinascimento italiano, da Pontormo a Mantegna, riproponendoli dal vivo e «animandoli» con le tecniche sempre più sofisticate a disposizione del cinema, fino a quelle sofisticatissime dell’attuale era digitale che permettono la riproducibilità tecnica di qualunque cosa.
La differenza, naturalmente, oltre alla perizia tecnica, la fanno l’idea e il modo in cui opere come queste di Viola giungono allo spettatore. Se poi il contesto in cui vengono esposte è quello di una mostra che fa dialogare la videoarte contemporanea con opere d’arte del passato di un’isola smodatamente ricca di storia e di arte come la Sicilia, attraverso, per esempio, l’elemento cosmico Acqua che per Talete è il principio di tutte le cose, l’effetto spirituale, purificatore, e dunque artistico, è innegabile.
Ma lo è anche l’effetto «digitale», nel duplice senso che il termine evoca, e cioè sia quello della perfezione tecnologica elettronico-informatica di un video di Viola, realizzato da équipe di 30-40 persone, sia nel senso proprio, di qualcosa fatto con le dita delle mani, per esempio da un numero non minore di artisti del XVII secolo che insieme realizzano — per citare solo un paio dei meravigliosi pezzi in mostra — il Paliotto con belvedere e fons vitae, in taffetas di seta ricamato con fili di seta policromi, grani di corallo e tessuto dipinto, o l’Acquasantiera con Santa Rosalia e il Genio del fiume Oreto, in rame dorato, filigrana d’argento e corallo. Il «concetto» è lo stesso, e l’arte pure.
https://www.corriere.it › la-lettura