di Fabrizio Massaro
Le ipotesi sul marchio e il ruolo di Amco
«Vogliamo arrivare a una conclusione, positiva o negativa, il prima possibile. Speriamo per metà settembre»: sono i tempi dettati dal ceo di UniCredit, Andrea Orcel, per chiudere l’affare Mps. Da oggi parte l’analisi dei numeri (dataroom e due diligence), dopo quello che una fonte governativa chiama «l’accordo per l’accordo» siglato ieri dal direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera. Un dossier seguito a lungo dal ministro dell’Economia, Daniele Franco, con il premier Mario Draghi tenuto costantemente informato. Non poteva essere altrimenti, data la delicatezza del dossier Siena, la banca più antica del mondo ancora in attività che potrebbe terminare come entità autonoma dopo 549 anni. UniCredit è sempre stato l’acquirente preferito, se non obbligato, per l’istituto presieduto da Patrizia Grieco e al 64% del Tesoro. Ieri le condizioni di Orcel sono state accettate: niente npl (dovrebbero andare ad Amco) né cause legali legate agli aumenti del 2011-2014-2015, nessun impatto sul capitale, grazie alla dote del Tesoro da 2,2 miliardi e forse anche a un futuro aumento di capitale.
L’idea pare essere quella di uno «spezzatone», con l’intera attività bancaria che passa da Siena a Milano. I numeri indicati da UniCredit lo confermano: potenzialmente 3,9 milioni di clienti, 80 miliardi di crediti alla clientela, 87 di depositi, 62 di masse in gestione e 42 in amministrazione, ovvero la parte sana di Mps, che servirà a Orcel per «rafforzarsi in particolare nel Centro-Nord», dove si trova il 77% delle filiali Mps: aumenterebbe del 17% in Toscana, del 4% in Lombardia e Emilia Romagna e dell’8% in Veneto. La nota non cita il Sud, dove Mps è forte. «È ancora presto per dire ora se il governo sarà socio di UniCredit», ha precisato Orcel, «dipenderà dalla struttura dell’operazione».
Le cause legali non legate all’attività bancaria «resteranno indietro», ha specificato. Non dovrebbe trattarsi di numeri enormi dato che la recente transazione con la Fondazione Mps ha ridotto il petitum da 10 a circa 6 miliardi, e non tutti legati alle magagne del passato. Resta il nodo del marchio: «Ha un valore storico ed economico», dicono da entrambi i fronti. Come valorizzarlo? Tra le ipotesi, il mantenimento nella rete in Toscana o la creazione di una maxi-fondazione, che comprenda le attività culturali di Unicredit, intitolata a Mps.