Adin Steinsaltz tra i massimi studiosi al mondo tradusse e commentò in più lingue il testo guida dell’ebraismo
di Simonetta Della Seta
Le ultime ore in Italia le ha dedicate a una giovane famiglia romana che aveva perso la figlia in un incidente stradale. «Il fiore più bello del Giardino dell’Eden», ha detto loro il Rabbino Adin Even Israel Steinsaltz, scomparso a 83 anni a Gerusalemme, strizzando nel dolore i suoi occhi acuti e turchini, mentre citava il Talmud. Anche di fronte all’inspiegabile morte di Alisa ricorreva a quel mare di conoscenza e discussione ebraica di cui è stato maestro, commentatore, interprete per tutta la vita. Un uomo minuto, che un tempo aveva i capelli rossi e ribelli, e ora appariva come uno gnomo delle favole dietro una lunga barba bianca, protagonista in realtà di un’impresa ciclopica: tradurre in ebraico moderno, e poi in molte altre lingue, i 37 volumi del Talmud babilonese, aprendo l’accesso ad una fonte millenaria di scienza ebraica a milioni di persone. Questa porta l’ha aperta anche agli italiani, permettendo che il Talmud fosse tradotto anche nella nostra lingua, tramite un progetto all’avanguardia, sostenuto dal Cnr, presieduto dal Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e diretto da Clelia Piperno. Un progetto che idealmente era partito un pomeriggio del 2011 a Campo de’ Fiori a Roma dove Rav Steinsaltz pose una pietra di inciampo per ricordare che nel 1553, in piena inquisizione, erano state bruciate in pubblico tutte le copie del Talmud.
Era nato a Gerusalemme nel 1937, mentre il padre combatteva in Spagna da volontario contro i franchisti. Aveva studiato matematica. «Mi convinsi che fosse l’unica scienza ad avere il concetto di infinito ». Così lo ricercò oltre, a partire dai numeri ebraici, ovvero dalle lettere di quell’antico alfabeto che secondo la tradizione ebraica partecipò addirittura alla creazione del mondo. Da qui una vita di studio, che lo ha portato anche a commentare tutta la Bibbia ebraica (Tanach), la Legge orale (Mishnah) e gli scritti di Maimonide, il grande filosofo ebreo vissuto nell’XI secolo.
«Vede questo testo centrale? – spiegò al Cardinale Carlo Maria Martini, che a Gerusalemme gli aveva chiesto cosa fosse il Talmud – È la trascrizione di un capitolo di quella che noi chiamiamo la legge orale. Tutto attorno sono commenti. Un coro di commenti. Scritti però in epoche diverse, in modi diversi. Eppure dialoganti tra loro. Una pagina del Talmud è come un tavolo multidimensionale al quale siedono tante persone vissute in epoche molto diverse, ma capaci di dialogare tra loro. Capaci soprattutto di interrogarsi e di interrogare. La parola più ripetuta nel Talmud è non a caso “domanda”. E non ci sono domande più importanti o meno importanti, domande su questioni più rilevanti o meno rilevanti. Il Talmud insegna ad avere lo stesso rispetto per ogni ambito della vita, il più ordinario e il più elevato, il più marginale e il più centrale. Il Talmud è un libro aperto di una discussione continua basata sull’interrogativo e sul buon senso. Il Talmud ci insegna che tutto è rilevante e soprattutto che non bisogna mai smettere di interrogarsi e perfino di mettere in discussione risposte già formulate, che appaiono logiche. Un po’ quello che in modo del tutto naturale fa un bambino di cinque anni, quando chiede il perché di tutto». La cultura di Steinsaltz spaziava dai numeri alla storia, dalla teologia ai particolari della vita di ciascuno. «Se ognuno imparasse a conoscere meglio la propria anima, il mondo sarebbe migliore», ha scritto in uno dei suoi tanti libri (in Italia pubblicati da Giuntina), L’anima.
Amava molto l’Italia, lo considerava un Paese direttamente legato alla Terra di Israele e all’ebraismo. Secondo lui, quando nel 70 d.C. i romani avevano distrutto il Tempio ebraico, molta parte della Gerusalemme immaginaria si era trasferita nella nostra penisola. Conosceva a fondo la storia italiana, ammirava Mazzini e Garibaldi, citava Dante, il libro Cuore, Manzoni ed Elsa Morante. Non tutti sanno che Giulio Andreotti lo aveva aiutato a recuperare dei beni ebraici nella Russia comunista. In Italia ha coltivato molte amicizie, durate anche quando lui, colpito da un ictus a fine 2016, non riusciva più a parlare e a scrivere. Ma si faceva capire con gli occhi.
Rav Steinsaltz è stato spesso chiamato dai Pontefici a parlare di teologia. Teneva lezioni all’Università Gregoriana e all’Università Lateranense, dove intratteneva a braccio i vescovi sul grande mare della conoscenza ebraica, e su quella universale. Era spiritoso, acuto, sorprendente, enciclopedico, geniale. Eppure quando alla trasmissione radiofonica Uomini e profeti gli chiesero di parlare di certezze, rispose che avevano sbagliato persona, perché lui viveva e coltivava i dubbi e le domande.
Si muore quando il proprio compito su questa terra è finito, ripeteva spesso. Adin Steinsaltz ci lascia in eredità una visione del mondo di grande aiuto anche per l’epoca di cambiamento che stiamo attraversando: in cui gli interrogativi danno forza, le incertezze allenano l’animo, lo spirito critico protegge dal pericolo della ignavia, lo scetticismo e le domande salvano l’uomo da molti errori. Un mondo in cui ogni individuo va rispettato perché è un unicum, una parte speciale della creazione, una scintilla di vita, e una occasione di migliorare il mondo stesso. L’autrice è direttrice del dipartimento Europa dello Yad Vashem a Gerusalemme.