La terza via di Martina: “Se il Colle lo chiede pronti ad altri scenari”.

Nel Pd stop dei renziani ai “governisti”. Il segretario: opposizione ma ragioniamo. Mattarella studia una pausa tra i due giri di colloqui
Nel primo giro al Colle – il suo turno è giovedì prossimo alle 10 – il Pd dirà che sta sull’Aventino. “Abbiamo perso, e perso male, quindi stiamo all’opposizione”. Lo ripete Maurizio Martina, il vice segretario reggente. Fin qui nulla di nuovo. Questa è la linea di Matteo Renzi e dei renziani. Ma il “partito del dialogo” cresce tra i dem e spinge per non chiudersi in un recinto paralizzante e soprattutto per rispondere all’appello del capo dello Stato, se si arrivasse alla palude politica. Martina ne prende atto, cerca di mediare e assicura: “Il partito deve anche prepararsi a scenari differenti, certo: non siamo indifferenti a quello che dirà il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, se avrà delle indicazioni. Quindi, vediamo. A me pare che dobbiamo continuare a discutere e a ragionare, dopo avere visto fin dove arrivano gli altri”. È il tentativo di un punto di equilibrio dentro il Pd. Non significa essere pronti a dare assist ai 5Stelle però vuol dire non restare sordi a un richiamo di Mattarella.

E già prima di giovedì, il reggente dem afferma che preparerà il passaggio delle consultazioni al Quirinale con gli altri leader, non in un “caminetto” – tanto irriso da Renzi – ma con colloqui: “Sentirò tutti da Matteo Renzi a Dario Franceschini, da Andrea Orlando a Paolo Gentiloni oltre ovviamente ai capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci e al presidente del partito, Matteo Orfini, che con me fanno parte della delegazione”. Nel nome della “collegialità”.

Ma le consultazioni al Quirinale, che iniziano mercoledì con i presidenti delle Camere e i partiti minori, si annunciano immerse nella nebbia. Tanto che per il secondo giro, già messo nel conto, il capo dello Stato starebbe valutando di non farlo partire subito “a ruota”, bensì dopo un break. Una pausa di riflessione, un intervallo forse di una settimana, considerato anche che sono in agenda alcuni appuntamenti importanti, dal faccia a faccia fra Di Maio e Salvini alle assemblee dei gruppi dem e forse la Direzione, che possono servire a chiarire il quadro. A quel punto, con le consultazioni lunghe, a mettere mano al Def (che dovrebbe essere presentato in Parlamento entro il 10 aprile) sarebbe il governo Gentiloni. Sergio Mattarella, dunque, rilancerebbe la palla nel campo dei partiti. Concedendo tempo ma anche spingendo per mettere in moto trattative serie, diradare la cortina fumogena.

Nel Pd il clima è teso, polemico, a tratti acido. Un post su Facebook di Marcucci non piace a Walter Verini, amico personale e a lungo collaboratore di Walter Veltroni. Scrive Marcucci: “Non vedo l’ora che giuri un governo Di Maio-Salvini. La linea che porteremo al Colle è quella votata dalla Direzione, se qualche dirigente vuole cambiare posizione, lo dica chiaramente”. Verini contrattacca: “Io non mi auguro che Lega e Cinquestelle facciano il governo. Un esecutivo populista-sovranista non è una prospettiva positiva per il paese.Una cosa è essere rispettosi del risultato elettorale, un’altra cosa è dire non vedo l’ora. Il Pd in nessun modo può tifare per una situazione che faccia un danno al paese”.

La saldatura di un patto leghista-pentastellato fa paura agli amministratori locali del Pd: se andasse in porto significherebbe, alle prossime elezioni locali del 10 giugno, rischiare di perdere molte città al ballottaggio, a iniziare da Massa, Pisa e Siena nella ex rossa Toscana.

Fonte: La Repubblica, www.repubblica.it/

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