La sfida europea del Patuelli-ter.

 

TRA GLI OBIETTIVI LA REVISIONE DELLA BRRD E TESTI UNICI BANCARI CONTINENTALI
Nel terzo mandato il presidente punta a chiudere la riforma dell’associazione, che ha spostato sempre più verso Bruxelles l’asse dell’intervento politico. A Milano l’assemblea del centenario
Il senso del terzo mandato consecutivo, affidato dall’Abi al suo presidente Antonio Patuelli è in quell’elezione per acclamazione che ha confermato l’indicazione unanime espressa dal Comitato esecutivo. Sì perché una decina di anni fa, quando Patuelli era diventato vicepresidente, l’unanimità non era affatto scontata per l’associazione. Erano i tempi in cui le grandi banche chiedevano di essere più rappresentate al vertice ed Alessandro Profumo, allora ad di Unicredit, era uno dei più irrequieti. A risolvere il problema fu proprio Patuelli, confezionando un «lodo» che porta il suo nome e che ha introdotto nello statuto dell’Abi un preciso regime di alternanza: un mandato biennale ad un presidente indicato dalle grandi banche (rinnovabile per un solo altro biennio) e poi il passaggio di testimone ad un esponente delle medio-piccole. E così via. Si cominciò proprio con un rappresentante delle grandi, l’ad di Mps, Giuseppe Mussari, di cui per due anni Patuelli fu il vice, ma a rinnovo appena votato, scoppiò lo scandalo del Monte e quel mandato fu completato da Patuelli, che da allora, con quella di ieri, ha superato ben tre riconferme. Per l’ultima c’è voluta anche una modifica statutaria che in via straordinaria ha sospeso l’applicazione del lodo omonimo. Una norma proposta proprio delle grandi banche, che hanno preferito rinunciare ad un giro di presidenza pur di non cambiare manovratore in questa fase. Da sei anni, infatti, la navicella dell’Abi sta affrontando mari tempestosi, ma di scogli pericolosi se ne è già lasciati diversi dietro alle spalle. Prima che la grande crisi finanziaria le coinvolgesse direttamente le banche erano diventate il bersaglio di Giulio Tremonti, che in cerca di gettito aveva puntato proprio gli Antonio Patuelli utili, allora notevoli, degli istituti e con misure ad hoc, come la spalmatura in 18 anni dei crediti fiscali da svalutazioni, aveva fatto cassa. Arrivata la crisi, gli utili sparirono, ma le penalizzazioni fiscali rimasero, e uno dei successi di Patuelli, è stato, dopo anni di braccio di ferro con governi e Parlamento, di aver portato a casa la cancellazione di quelle norme punitive, insieme ad altre misure gradite come la rivalutazione delle quote del capitale della Banca d’Italia detenute per un settantennio dalle banche a valore di libro. E non solo. Nei due mandati e mezzo già svolti da Patuelli le banche hanno dovuto affrontare l’escalation normativa delle varie Basilea, la partenza, ancorché zoppa dell’Unione Bancaria, gli stress test dell’Eba, il passaggio al bail-in e tutta la Babele di norme comunitarie e nazionali che ne è seguita. Tutto ciò, insieme alla crisi, ha comportato una spesa per le banche italiane di «circa 12 miliardi per i salvataggi e per nuovi fondi europei e nazionali di garanzia», ma anche la necessità di fare «addirittura 70 miliardi di aumenti di capitale e ancor più colossali continui prudenziali accantonamenti». Tutte cifre snocciolate ieri da Patuelli ai suoi colleghi, che spiegano perché da qualche anno l’Abi non deleghi più la difesa del sistema ai vari governi ma preferisca muoversi in proprio lì dove si prendono le decisioni più importanti, ossia a Bruxelles, Francoforte e Strasburgo. E non è un caso se ieri erano presenti in sala e sono stati citati con gratitudine da Patuelli sia il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani, sia il presidente della Commissione economica di Strasburgo, Roberto Gualtieri, insieme ai quali una parte importante delle battaglie dell’Abi sono già state condotte e altre si stanno disputando ancora, come quelle per la redazione di testi unici di diritto bancario, finanziario e fallimentare, validi su tutto il continente, ma anche l per a revisione della direttiva Brrd sui risanamenti e risoluzione delle banche. Uno degli obiettivi, per esempio, è che l’Unione Bancaria consenta «ai sistemi nazionali di garanzia dei depositi di poter effettuare interventi preventivi per le banche in crisi, per evitare danni maggiori», mentre andrebbero anche razionalizzati i costi per gli interventi, in modo «che le norme dispongano che ciascuna banca debba contribuire ai Fondi di garanzia di cui può teoricamente usufruire e non ad altri». Un catalogo, insomma, fitto di obiettivi da raggiungere, nella convinzione, però che l’Europa sia soprattutto una grande opportunità per le banche italiane, tanto che al nuovo governo, il messaggio che ha mandato ieri l’Abi è di sottrarsi ai «gorghi di un nazionalismo mediterraneo molto simile a quelli sudamericani».A Bruxelles si deve, certo, sbattere i pugni sul tavolo quando serve, ma bisogna soprattutto essere presenti con continuità. E questa è appunto la strategia di Patuelli, che nella città del potere comunitario ha già aperto una sede, proprio mentre sta tagliando uffici e organici di quella romana, in una profonda trasformazione della struttura associativa, che la prossima assemblea, quella del centenario, la celebrerà a Milano. E anche questa è una decisione non casuale.
MF.
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