LA SENSAZIONE È CHE NESSUNO ABBIA LE CHIAVI DEL QUIRINALE

 

di Massimo Franco

 

L’ammissione più sincera forse è quella dell’ex segretario del Pd, Nicola Zingaretti. «Io non so», ha detto ieri in tv, «quali sono gli assetti dentro questo Parlamento. Ho la sensazione che non lo sappia nessuno». La traduzione in vista del voto di gennaio per il Quirinale è che non esiste uno schieramento da indicare per capire la ricaduta finale di una trattativa; e che la maggioranza per eleggere il successore di Sergio Mattarella è da inventare. E sapendo in anticipo di potersi trovare di fronte a qualche sorpresa. I tentativi di costruire una rete all’interno della quale i leader di partito possano dialogare sono obbligati. Ma, più che una strategia, confermano la consapevolezza di essere tutti minoritari e bisognosi di sponde. Anche perché nessuna forza politica sembra in grado di presentarsi con un gruppo parlamentare compatto. Gli «assetti» ai quali accenna Zingaretti sono molto più liquidi dei contenitori che formalmente li contengono. E lasciano indovinare un trasversalismo, se non incontrollabile, certamente poco incline a seguire docilmente le indicazioni di vertice. È successo spesso, nelle votazioni per i presidenti della Repubblica. Esiste una casistica eclatante, in questo senso. La differenza rispetto al passato, tuttavia, sono la disarticolazione dei partiti e la presenza di un movimento come quello grillino. Nel 2018 ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti in chiave anti-sistema, ma oggi viene da tre anni e mezzo di governo. L’incognita di come si muoveranno i gruppi che compongono il Movimento Cinque Stelle è enorme. Probabilmente, l’unico elemento unificante è la paura di andare alle urne prima del 2023: sarebbero falcidiati da un elettorato deluso. Ma i Cinque Stelle sono soltanto uno dei punti interrogativi che rendono incerta la scelta del prossimo capo dello Stato. Vale lo stesso per i partiti storici, percorsi da spinte centrifughe e da tensioni che questi mesi di governo di Mario Draghi, con la sua coalizione atipica, hanno rivelato e accentuato. L’esigenza di fare emergere un’intesa che rifletta quella da unità nazionale trovata a sostegno di Palazzo Chigi è condivisa a parole da tutti. Metterle accanto un nome, però, finora non è stato possibile. D’altronde, se il sistema politico non si fosse rivelato in crisi, non sarebbe nemmeno arrivato Draghi. E la tentazione di mettere tra parentesi la sua stagione come un commissariamento forzato ma temporaneo, è potente. Eppure, il modo per rilegittimarsi sarebbe quello di applicare anche al Quirinale la logica unitaria che Mattarella è riuscito a imporre ai partiti nel febbraio scorso. Altrimenti, c’è il rischio di una soluzione casuale, subìta e non preparata: capitata aspettando un aiuto dall’esterno che nessuno può garantire.

 

 

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