Déjà-vu, déjà-vu pandemico. Complice la serrata per il Covid-19, viviamo in un mondo inaudito, ma non inedito: abbiamo già visto e ascoltato tutto. Dai classici della canzone italiana urlati dal balcone alla programmazione televisiva (Tutti a casa con Rai Movie) e streaming (la Cineteca di Milano ha fatto addirittura un palinsesto; unica novità Ultras di Francesco Lettieri, da domani su Netflix), vince l’archivio, se preferite, la library: old but gold, nel migliore dei casi.

Se il solito, impareggiabile Ettore Scola affidava al Vittorio Gassman di C’eravamo tanto amati l’imperituro “Il futuro è già passato, e non ce ne siamo neanche accorti”, noi ci stiamo accorgendo che questo presente in quarantena l’abbiamo già vissuto: al più, lo stiamo sopravvivendo. Nei tempi, nei modi, perfino nei generi.

Kammerspiel. Cent’anni addietro la Germania espressionista teneva a battesimo il Kammerspiel, letteralmente “recitazione da camera”. Vale a dire, un “piccolo teatro destinato a recite che cercano un intimo rapporto con lo spettatore” oppure “film o rappresentazione teatrale di intreccio semplice, intimo e psicologico, la cui azione si sviluppa tra pochi personaggi, con un dialogo limitatissimo e una scenografia basata su pochi ambienti”. Non è forse, soprattutto alla voce “dialogo limitatissimo”, quel che stiamo sperimentando nella nostra casalinga reclusione involontaria? La variante filmica del Kammerspiel annovera L’ultima risata di Friedrich Wilhelm Murnau (1924): pregevole, ma qui e ora dal titolo piuttosto infelice.

Contagion. Se tra un flashmob e l’altro si guarda fuori dalla finestra, il campo lungo risulta familiare: Contagion di Steven Soderbergh, anno 2011, metteva sul set la pandemia, addebitava al pipistrello (più maiale) il contagio, insomma, faceva del finzionale Mev-1 l’antesignano dell’attuale Covid-19. A richiamare via Instagram il déjà-vu – anzi, nel suo caso il già recitato – è stata l’interprete Gwyneth Paltrow: “I’ve already been in this movie”.

Perfetti sconosciuti. Contagion è il primatista di visioni più o meno legali, ma l’Italia non sta a guardare: Perfetti sconosciuti (2016), il campione di incassi e di remake di Paolo Genovese. L’unità di spazio, tempo e azione è la medesima, nella realtà del lockdown si aggiunge alla cena il pranzo e si sottraggono gli amici, una famiglia basta e avanza. Occhio al cellulare, e occhio alla realtà: “Sofia – diceva la madre Kasia Smutniak – sta vivendo il dramma di uscire dalla scena familiare”, “Ecco, facciamola uscire – ribatteva il padre Marco Giallini – senza romperle troppo i coglioni”, solo che oggi non si può uscire. Almeno fino al 25 marzo.

Il Papa. L’abbiamo vista tutti, l’avevamo già vista in molti: la foto icastica di Papa Francesco che cammina in una via del Corso semideserta. Scatto che cattura lo Zeitgeist, sintetizza mille editoriali, invera svariate analisi: chi avrebbe mai potuto immaginare un pontefice che in una Roma desolata se ne va a fette seguito a distanza dalla scorta? Ebbene, due registi: Nanni Moretti e Paolo Sorrentino. Il primo con Habemus Papam – altro film del 2011, annata assai preveggente – e il suo papa Michel Piccoli che si dà per l’Urbe, il secondo con il dittico seriale The Young Pope e The New Pope, di cui quella fotografia potrebbe legittimamente essere di scena. Ma non solo: vi ricordate Giulio Andreotti (Toni Servillo) che rifà, anzi, prefà quella passeggiata sotto scorta ne Il Divo (2008)?

Camera e tinello. No, non va tutto bene: per un Moretti che preconizza, per un Sorrentino che trasfigura, c’è tanto altro cinema patrio che, Covid-19 o meno, il naso fuori dall’uscio non lo mette. Le geometrie invariabili sono del dramma da cameretta, della commedia bilocale e monorisata, del dramedy con angolo scottura: quanti ne abbiamo visti, e quanto abbiamo faticato a digerirli? Camera e tinello ubicati Roma, talvolta con vista Gasometro, altri Mandrione, sovente in Prati: si mangia, si parla, che barba, che noia. Dopo averne fatto il nostro pane quotidiano in quarantena, riusciremo – riusciranno i patri sceneggiatori – a mandarli in soffitta?

Da “Roma città riaperta” a “Germania paziente zero”? Ma lo spettro che si aggira per i tavoli di sceneggiatura è un altro: il Neo-Neorealismo. Uscire dalla pandemia come dalla Seconda guerra mondiale, mutatis mutandis, rifare il cinema che ci rese grandi e celebrati in tutto il mondo, risciacquare gli andreottiani panni sporchi da Cannes a Berlino, con affaccio sugli Oscar Oltreoceano. Le migliori penne della nostra generazione sono già al lavoro, con lo strumento più raffinato che possiedano: il copia & incolla.

Teniamoci pronti a un Miracolo a Codogno, venato di irrealismo magico; Roma città riaperta, con echi rosselliniani e karaoke condominiali; Germania Paziente Zero, genere on the road sovranista; Non c’è pace tra i balconi, con due proiezioni giornaliere già fissate alle 12.00 e alle 18.00; Umberto Covid, con l’originario voltaggio senile ma l’upgrade del cane in sharing per la passeggiata. Chi vivrà vedrà: pardon, rivedrà.

@fpontiggia1