Cittadini e partiti
di Aldo Cazzullo
Il giorno di santa Lucia, nella provincia lombarda simbolico come o più del Natale, imprenditori e artigiani protesteranno contro il governo. Le prime a riempire una piazza per chiedere infrastrutture e lavoro sono state sette signore di Torino. Quando ci hanno riprovato i partiti di opposizione, è stato un flop. È la riscossa della piccola e media borghesia. Che di partiti e sindacati fa volentieri a meno. Per organizzarsi basta la rete. Le rivendicazioni sono semplici.
Meno burocrazia e assistenzialismo, più investimenti per la crescita. È la stessa piccola e media borghesia che, con i suoi difetti, è stata la spina dorsale dell’Italia repubblicana. Ha ricostruito il Paese dopo la guerra, ha sconfitto il terrorismo rosso e nero, ha sostenuto la stagione di Mani Pulite (per poi restarne talora delusa); e ha perso la sua prima battaglia con il passaggio all’euro, che l’ha impoverita più di quel che indichino le statistiche ufficiali sull’inflazione. La perdita del potere d’acquisto è una delle leve della protesta, non soltanto in Italia.
Prospettive
Le richieste sono semplici: innanzi tutto meno burocrazia e assistenzialismo
In Francia e in Belgio il malcontento della piccola borghesia di provincia ha acceso un rogo in cui ardono rivendicazioni anche violente, e quindi inaccettabili. Ma alcuni punti in comune sono evidenti. Lo schema non è quello classico, opposizione contro governo. È una rivolta della società contro la politica. Anche in Francia i cicli dei leader si sono accorciati, fino a prendere ritmi italiani. Mitterrand rimase all’Eliseo 14 anni, Chirac 12; Sarkozy e Hollande hanno fatto un solo mandato; di Macron i francesi si sono stufati dopo un anno e mezzo. L’avevano scelto «faute de mieux», in mancanza di meglio, preferendolo alla populista di destra Le Pen e al populista di sinistra Mélenchon; ora sembrano averlo già ripudiato.
Priorità
I manifestanti vogliono il controllo dei flussi di immigrazione, ma non ne sono ossessionati
In Italia Renzi è durato tre anni, e adesso pare un prestigiatore che tenta disperatamente di ripetere il trucco che gli riusciva così bene e ora non riesce più. È il momento di Salvini, che rispetto a Renzi ha il vantaggio di un retroterra più vasto: in Italia il centrodestra è sempre stato maggioranza, ha perso solo quando si è diviso. Ma il Matteo leghista sta commettendo gli stessi errori del Matteo democratico. Alza ogni giorno l’asticella. Annuncia espulsioni di massa che non farà, promette di tenere insieme cose impossibili: reddito di cittadinanza, quota 100, flat tax. E, come e più di Renzi, vive la propria vita in pubblico, sui social, informandoci in tempo reale di quel che vede, legge, pensa, mangia. Una strategia che garantisce popolarità ma pure logoramento. Il suo racconto del Paese, però, è diverso. Se Renzi vagheggiava un’Italia locomotiva d’Europa, mentre crescevamo meno degli altri, Salvini continua a muoversi come fosse il capo dell’opposizione: una tecnica che funziona, ma non potrà durare per sempre; soprattutto ora che siamo tornati a crescita zero.
Per questo il leader della Lega farebbe bene ad ascoltare il movimento della piccola e media borghesia. Che non chiede semplicemente un cambio di formula politica (anche se molti tra coloro che manifesteranno preferirebbero un governo di centrodestra a quello gialloverde). Chiede una politica diversa, uno Stato che faccia meno cose e le faccia meglio, un cambio culturale rispetto alla logica del consenso e dell’assistenza. Chiede il controllo dell’immigrazione, ma non ne è ossessionata, anche perché molti immigrati li ha assunti e li assumerà. E vuole restare ancorata all’Europa, dove esporta e dove deve competere. Un’Europa diversa, meno burocratica, meno ingabbiata da cifre e regole astratte, più impegnata per lo sviluppo; ma pur sempre l’Europa.
Fonte: Corriere della Sera, https://www.corriere.it/