di Pierluigi Piccini
Questa mattina mi è tornato in mente il film di Fassbinder: “La paura mangia l’anima” e la paura, proprio oggi, è oggetto di molte riflessioni. La paura, sì, ma cos’è la paura? Me lo sono chiesto più volte e questa è la mia risposta, quella più vicina al mio sentire.
La paura non è l’aprire una borsa durante un controllo o stare protetto al di là di un paracarro di cemento armato. La paura è incrociare lo sguardo di chi ti sta di fronte per capire chi è, o cosa potrebbe fare. È il timore dell’altro, magari a un supermercato, o sul pullman che ti porta da qualche parte.
Questa per me è la paura che nessuna “sicurezza” può sconfiggere, perché ormai si è impossessata dell’anima, direbbe Fassibinder, appunto!
E poi quale azione tranquillizzante dovrebbe rasserenarmi o rasserenarci? Quella del giorno dopo? Della retorica? Ieri ho sentito che il re di Spagna non ha paura, grazie tanto! A lui chi lo tocca?
Anche gli anarchici hanno cambiato obiettivo, ammesso che ce ne siano ancora. La paura è quella quotidiana di tutti i giorni, quella dei marciapiedi, quella della folla e della gente, questa è la paura; quella che cambia i comportamenti individuali e collettivi, che sull’altare della sicurezza trasforma i modi di fare, che muta in autorità chi autorevolezza non ha, che riduce la “verità” alla volontà di qualche giudice.
E allora? Tutto è ormai perduto? Ci ritroveremo fra qualche anno trasformati, come quando uscimmo dal terrorismo, quello degli anni settanta? Di quella esperienza dobbiamo prendere il meglio che ci ha lasciato in eredità: la risposta sociale, il non aver timore delle abitudini, il rivendicare l’essere comunità, tanto forte della propria identità da guardare l’altro negli occhi senza averne timore.