La paura del Quirinale Senza etica e autorevolezza le toghe perdono autonomia

di Claudio Tito
La paura che la magistratura perda il suo carattere fondamentale e imprescindibile in una democrazia: l’autonomia e l’indipendenza. Gli ultimi scandali che hanno inferto un colpo drammatico all’immagine e alla credibilità delle toghe, sono diventati un tormento per il presidente della Repubblica. L’intervento di ieri è allora dettato in primo luogo da questo timore: un lento ma inesorabile scivolamento di uno dei poteri dello Stato.
Mattarella sceglie sempre la strada di non rispondere sul momento alle situazioni più critiche. Interpreta il suo ruolo evitando di calarsi nello scontro politico o nelle crisi contingenti. Non è allora un caso che abbia atteso la cerimonia per ricordare i magistrati che hanno perso la vita nell’esercizio delle loro funzioni. L’occasione migliore per far notare quanta distanza e differenza ci sia tra quegli esempi e quelli che hanno riempito le cronache dei giornali negli ultimi mesi. Il punto, dunque, non riguarda solo la necessità – seppure corretta – di rivere le regole che disciplinano la vita e l’elezione del Csm, ma il grado di moralità che accompagna un ordine tanto importante nella vita democratica di un Paese. Secondo il Quirinale, lo spettro peggiore consiste in una perdita così ampia di credibilità da mettere a repentaglio l’indipendenza stessa dei giudici. Fino a qualche anno fa il tasso di popolarità delle toghe nell’opinione pubblica era altissimo in tutti i sondaggi. Quell’indice sta subendo un calo talmente vertiginoso da compromettere – a causa di una minoranza – la funzione stessa di chi è impegnato in quel fronte. L’obiettivo primario, quindi, è recuperare l’autorevolezza perduta. Riacquistando una sorta di “educazione” al ruolo. In questo quadro Mattarella si sente obbligato a garantire l’autonomia della funzione-giustizia. Un compito che va oltre il giudizio negativo dei recenti scandali. E persino oltre la degerazione correntizia che ha trasformato orientamenti ideali in «prassi inaccettabili ». Si tratta di una sorta di precondizione.
Nello stesso tempo, per poter portare a termine questo ufficio, ritiene di dover applicare a se stesso le medesime regole. Sono allora considerati inaccettabili quegli strattonamenti, in particolare dei partiti dell’opposizione, che reclamano un intervento a favore dello scioglimento del Csm o per imporre al presidente del consiglio di non rinviare il voto in Parlamento sulle scelte del prossimo Consiglio europeo. Sulla prima questione perché semplicemente non rientra tra i suoi poteri bloccare anticipatamente l’attività del massimo organo di autogoverno dei magistrati. E nemmeno intervenire proprio in qualità di presidente del Csm – su inchieste o procedimento disciplinari (come quelli relativi al caso Palamara) ancora in corso. Si tratterebbe di una deviazione dai binari della correttezza costituzionale. Così come le prerogative delle Camere devono in primo luogo essere tutelate dai presidenti dei due rami del Parlamento. Senza contare che coloro che chiedono ora una censura o una interposizione, sono gli stessi che fino a cinque anni fa accusavano il Quirinale di ingerenza nei processi politici.
Infine il terzo nodo. La riforma del Csm. Di questo argomento il capo dello Stato ha ascoltato in passato le intenzioni sia di Conte, sia del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Quegli intendimenti non sono ancora realizzati. In nessuna forma. Il progetto di revisione sembra, anzi, arenato a causa delle discussioni tra i partiti della maggioranza. Come se la situazione ponesse tutti nella condizione di prendere tempo. Eppure, l’incancrenimento dei rapporti e delle regole elettorali di Palazzo dei Marescialli, reclamerebbero almeno una velocizzazione. Anzichè assecondare una decennale disattenzione. Più che decennale, ventennale. Visto che l’ultima riforma del Csm, che evidentemente non ha riscosso un grande successo, risale al 2002. Ed è stata proposta e votata dal governo Berlusconi e dall’allora Guardasigilli, il leghista Roberto Castelli.
Mattarella, dunque, ritiene improcrastinabile che si intervenga. Sia sul piano morale, sia su quello legislativo. Per porre fine ad uno slittamento inaccettabile. Anche perché i prossimi anni non possono consumarsi in presenza di una magistratura debole e delegittimata. Considerando che a breve il Paese potrebbe giovarsi di aiuti economici consistenti da parte dell’Ue. Come lo stesso Conte ha sottolineato, nell’incontro con Mattarella, quelle risorse vanno impiegate rapidamente ed efficacemente.
Ma senza l’autorevolezza del potere giudiziario il rischio che alcuni di quei rivoli monetari possano sfociare in qualche pozza oscura, può diventare davvero alto.
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