La palude Toscana

Centrodestra a ostacoli

Pietro De Marco

 

Il futuro prossimo della politica toscana ci autorizza a porre sul Corriere Fiorentino questioni generali; per un certo periodo la riflessione politica non riguarderà un altrove astratto, ma noi stessi. L’ombra o il modello dell’Emilia Romagna incombe, ma i saggi ricordano che le analogie tra le due regioni (già) rosse sono scarse. L’attuale carta elettorale dell’Emilia Romagna è impressionante: un profondo cuneo di sinistra, dal ravennate al reggiano, ovunque serrato in una, almeno potenziale, tenaglia leghista. Ma non riesco a prevedere una mappa politica della Toscana post-elettorale con aree di colore uniforme altrettanto vaste, conquistate o salvate. Piuttosto uno sciame di risultati di segno diverso. L’idea che abbiamo, e che (intendiamoci) potrebbe anche rivelarsi improvvisamente infondata, di una Toscana da conquistare e difendere borgo per borgo, propone alle parti, non solo a quella all’attacco, un lavoro massacrante; per la parte attaccante ne varrebbe la pena? Il confronto, sulle piazze, sarebbe assai meno cordiale che in Emilia, anche le sardine meno sorridenti. È vero: poco o niente della situazione socio-economica da noi ricorda la «grassa» Emilia; nessuno a sinistra potrà fare campagna elettorale con quel tratto di superiorità che ha sempre accompagnato Bonaccini. Ma per la destra quale il valore aggiunto di una conquista della presidenza regionale? La Toscana è, in più, un groviglio di problemi, uno sminuzzamento sub-regionale di bisogni ed emergenze.

Supponendo, però, che quel cavaliere senza paura, come ama presentarsi e operare il leader leghista, intenda non dare peso agli oneri futuri della posta in gioco, ma solo alla vittoria, come potrebbe muoversi un competitore «di destra» che voglia il governo dell’intera Toscana?

Recentemente Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera ha ricordato gli ostacoli che deve affrontare ogni schieramento conservatore-populista (di destra): a) il «passato fascista» dell’Italia, che fornisce a Democratici e sinistre un arsenale di strumenti aggressivi, di parole-proiettile, sempre sperimentato in passato e oggi stesso, contro cui non si hanno difese. Come scrive Galli: «… è inutile qualsiasi tentativo di analisi, correzione, distinguo, non c’è niente da fare». Se ti prendi del fascista, magari del nazista, e del razzista, sei come l’antico lebbroso: impuro, schifoso, vitando almeno per una parte della popolazione, per l’intelligencija anzitutto, e la sua stampa.

b) «la ricorrente difficoltà della destra a trovare nomi significativi della società civile per le proprie candidature», ovvero un troppo esiguo serbatoio di uomini di establishment. È così. c) «la Chiesa», e la sua legittima attenzione alle povertà. Proseguirei l’analisi di Galli. Questa attenzione e cura, che non datano da oggi, sono anzi secolari, hanno oggi una sorta di nuova aggressività dovuta alle forme «politiche» (anch’esse legittime, in se stesse) che ha assunto la leadership universalistica e «laica», morale più che religiosa, del Pontefice. In sede di azione pubblica, anche solo verbale, gli uomini e le donne bersagli della sua deprecazione divengono una massa che a priori «pecca», dunque una realtà politica da combattere comunque, anche se fatta in parte di credenti cattolici. Ho scritto più volte che così agendo papa Francesco si allinea, forse involontariamente, con l’intelligencija, da cui infatti riceve approvazione e omaggio. Cleri e gli ambienti cattolici, anche impolitici, si schierano con lui in una sorta di nuova convergenza emozionale con Roma che non esisteva dai tempi di Pio XII; al tuo cenno e alla tua voce/un esercito all’altar si cantava allora, poco importa se quegli altari sono stati rimossi. E si schierano diffusamente, questa è la novità, con le sinistre: una convergenza di ordinaria retorica, ma anche elettorale e di piazza. È quella che persino Giuliano Ferrara definisce «la rivolta contro il nazionalpopulismo» e approva come tale. Mi pare che questi tre ostacoli possano essere in Toscana particolarmente temibili per una «grande spedizione» di conquista da parte della Lega. L’accusa di «fascismo» e «razzismo» (un uso a vanvera dei termini che non censurerò mai abbastanza) è da noi spontanea e rabbiosa in ogni strato sociale; vistosa l’assenza di personale politico a destra; netta la sporgenza a sinistra di molto clero e di laicato cattolico qualificato (parrocchie, volontariato ecc.). Per evitare gli strali che Ferrara ha riservato a Galli, poiché aspirerebbe senza dirlo a consigliere di Salvini, non darò suggerimenti alla Lega, né sarei all’altezza. Mi frulla in testa, però, Silenzio di Martin Scorsese, da un grande romanzo (1966) di Shusaku Endo, giapponese convertito al cattolicesimo. Il missionario gesuita, apostata per umana pietà, consente alla fine col giudizio del daimyo suo inquisitore e signore: «In questa terra il missionario perde non per incapacità, ma perché il Giappone è come una palude nella quale nulla [di diverso] cresce»; non un giudizio spregiativo, tutt’altro; solo la seria conoscenza di un terreno (di civiltà) che isola, immobilizza, infine inghiotte l’estraneo. E se la geografia politica toscana, quella profonda, presentasse qualcosa di analogo?

 

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