LA MAGGIORANZA ESORCIZZA L’ELEZIONE DEL 26 GENNAIO

 

di Massimo Franco

 

L’insistenza con la quale tutti, nella maggioranza, ripetono che l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte andrà avanti comunque, fa sorgere qualche sospetto. Una vittoria della destra di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni in Emilia-Romagna, domenica prossima, segnerebbe uno spartiacque difficile da ignorare: più che in Calabria. Oltre a dilatare la crisi del Movimento Cinque Stelle, potrebbe aprirne una al vertice del Partito democratico. Scherzando, Nicola Zingaretti va ripetendo di essere consapevole che se la sinistra vince, il merito sarà dato al candidato e governatore uscente, Stefano Bonaccini; se perde, come responsabile sarà additato lui, il segretario. Le previsioni danno tuttora una situazione in bilico, con un leggero vantaggio alla sinistra. Troppo esile, in realtà, per sbilanciarsi. È vero che il leader della Lega ieri ha insistito sul carattere «anche nazionale» della consultazione del 26 gennaio. Dicendolo, si espone molto. Una sconfitta della destra si rifletterebbe automaticamente sulla sua immagine di vincente. E aprirebbe la strada a un ripensamento della strategia seguita dalla crisi di governo agostana a oggi da parte del Carroccio. D’altronde, la sua candidata è stata del tutto oscurata da lui. Ma Salvini ostenta sicurezza, nonostante le gaffe e le provocazioni, come quella fatta citofonando a una famiglia tunisina di Bologna per chiedere se c’era uno spacciatore. In fondo, la campagna degli avversari, compreso il movimento delle Sardine, ruota intorno alla resistenza nei suoi confronti: un’arma a doppio taglio. La sua presenza martellante dovrebbe servirgli a ripetere nella «regione rossa» per antonomasia il successo in autunno in Umbria. Solo che lì aveva davanti una sinistra devastata dagli scandali. Al contrario, per quanto logoro, il «modello emiliano» è ancora apprezzato. Il capo del Carroccio, tuttavia, non ha scelta. Deve scommettere sulla vittoria per farla pesare su Palazzo Chigi; per accreditare un esecutivo M5S-Pd-Iv in minoranza nel Paese; e dunque per accelerare le spinte centrifughe già evidenti tra i Cinque Stelle, alle prese con una crisi che ha portato alle dimissioni di Luigi Di Maio. Il fatto stesso che incolpi Beppe Grillo, il «garante», per «un mortale abbraccio col Pd», lascia capire quale sia l’obiettivo. Salvini vuole usare un successo in Emilia-Romagna come grimaldello per scardinare uno schema nazionale che relega la Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia all’opposizione per l’intera legislatura. Non gli sarà facile. Simbolicamente, però, espugnare l’Emilia-Romagna significherebbe tagliare le radici storiche di una regione che per la sinistra non è solo una roccaforte politica ma un polmone economico; e minarne le certezze. Si dice Emilia-Romagna e Bonaccini, ma si legge Palazzo Chigi e Conte.

 

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