La lotta delle sale contro allarmismi e uscite rimandate

In un comunicato di ieri, l’Anec – Associazione nazionale esercenti cinematografici – ha invitato i media a contenere gli allarmismi sulle sale, spesso «dipinte» come pericolosi luoghi di contagio. Come sappiamo – almeno chi ci è tornato – dalla riapertura, lo scorso 15 giugno, il protocollo di sicurezza viene applicato con scrupolo – lo stesso vale per i teatri, altri luoghi demonizzati. Eppure le sale sono in pericolo, lo dicono i risultati degli incassi nelle ultime settimane, quelle di ripresa della stagione, e neppure l’eco della Mostra di Venezia – in cui si sperava per una «ripartenza» – è servita a riaccendere gli schermi nella «normalità», ovvero al di fuori dei singoli eventi – che invece funzionano abbastanza bene, lo ha dimostrato la manifestazione «Venezia a Roma» /«Venezia a Milano» o la recente Movie Week milanese. «Quello che chiediamo – scrive il presidente dell’Anec Mario Lorini – è di non infliggere un altro duro colpo al comparto. Non disincentiviamo il pubblico a tornare a godere della visione in sala».

È CHIARO che la pandemia ha accelerato una fragilità già in atto, resa ancora più forte negli ultimi anni dall’arrivo massiccio delle multinazionali dello streaming, a cominciare da Netflix, e in questa situazione di disagio – e di timori – lo spazio pubblico di cui le sale sono parte è uno dei principali bersagli, nonostante come appunto sottolinea la stessa Anec nel comunicato nessuno si sia contagiato in sala – in città quali Roma ci saranno certo più contagi sui mezzi pubblici vista la deriva in cui si trovano.
Ma non è solo questo. Per fare un esempio alla fine del lockdown diversi esercenti hanno deciso di non riaprire per non rinunciare alle casse integrazioni – ma questo non aiuta e non ha aiutato la ripresa: laddove si trova una porta chiusa le persone del quartiere, coloro che frequentavano quella sala fanno presto, specie adesso, a dimenticarla.

C’è poi il contesto internazionale: ieri la catena britannica Cineworld Group – proprietaria anche di quella statunitense Regal e seconda al mondo per numero di schermi: 9.518 – ha confermato che dall’8 ottobre sospenderà le proprie attività nel Regno Unito e in America «in risposta a un panorama cinematografico sempre più difficile». Questo perché i principali mercati americani sono fermi, come New York o Los Angeles, e non si sa quando e come sarà possibile ripartire, mentre l’unico blockbuster uscito sinora (Tenet di Christopher Nolan) fatica al box office statunitense e globalmente ha per ora incassato 300 milioni di dollari: «appena» 100 in più del suo costo.

E LE MAJOR – il caso più recente è quello di James Bond – No Time to Die rimandato al 2 aprile 2021 – non si azzardano a far uscire i propri film in questa situazione, alimentando un circolo vizioso in cui le persone vanno sempre meno al cinema. Senza uscite come appunto No Time To Die la catena Cineworld sostiene di non essere in grado di mettere a disposizione degli spettatori i blockbuster necessari per riportarli in sala. Una decisione che avrà conseguenze molto gravi per tutti i dipendenti dell’azienda nei due paesi interessati: oltre 45.000. In Uk 5.500 di loro già sono stati informati che resteranno senza paga perché gli aiuti governativi non sono rivolti alle aziende senza introiti, come nel caso di Cineworld quando sospenderà le attività rendendo i suoi lavoratori «expendables», sacrificabili, come hanno detto di sentirsi alcuni di loro parlando con il «Guardian». Intanto ieri un’altra catena britannica – Odeon – ha annunciato che per il momento aprirà soltanto nel weekend: di questo passo Cineworld rischia di essere solo la prima catena che sceglie di sospendere le proprie attività in attesa di «tempi migliori».

TUTTO QUESTO non può che acuire i problemi nazionali perché viene a mancare il «contrappunto» (e il traino) a un’offerta attualmente basata sul cinema d’autore che di per sé, come sappiamo già da prima della pandemia, non fa enormi numeri – a parte qualche «caso», pensiamo lo scorso anno a Parasite. Forse allora la «ripartenza» deve cominciare anche da una diversa strategia di promozione che sappia accompagnare in modo mirato ogni film – anche a emergenza conclusa.

 

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