La forza giusta dell’Europa

 

di Antonio Polito

 

Invece dello «spirito di Monaco», che si illuse di scambiare il cedimento all’aggressore con la pace, un nuovo «spirito di Bruxelles», che vuole difendere la pace con ogni mezzo. Invece della corsa all’«appeasement», come nel 1938 con Hitler, uno scatto di reni dei governi e delle opinioni pubbliche dell’Europa, che non accettano il sopruso di Mosca contro il diritto internazionale e umanitario.

Qualcosa di sorprendente sta accadendo nel Vecchio Continente. Non sappiamo ancora quanto durerà e quali esiti avrà. Ma nell’enorme folla radunatasi sotto la porta di Brandeburgo, proprio lì dove 33 anni fa si riunificò l’Europa sulle macerie del Muro di Berlino, e nelle piazze di tutto il continente, è forse cominciata un’altra storia europea, consapevole che non c’è pace senza libertà e senza giustizia.

Una regola di prudenza suggerirebbe di non esaltarsi mai troppo per i progressi dell’Europa, perché ben presto egoismi e divisioni nazionali arriveranno a smentirli. È la tara genetica dell’Unione. Ma stavolta possiamo fare un’eccezione: stiamo mandando armi e munizioni agli ucraini che resistono, abbiamo chiuso i cieli a tutti i voli russi, stiamo scollegando conti correnti e carte di credito di molte banche russe dal sistema Swift, varando sanzioni economiche così dure che ieri il rublo ha perso un terzo del suo valore e la Borsa di Mosca ha chiuso. La Germania, soprattutto, sta violando i tabù di un antico riflesso pacifista e mercantile, sospendendo Nord Stream 2, autostrada del gas russo, e portando la spesa per la difesa al 2% del Pil, come da tempo chiedeva la Nato. Perfino la secolare neutralità della Svizzera si è uniformata alle decisioni di Bruxelles.

Non si può escludere che la reazione stizzita di Putin, che ha evocato l’arma nucleare, ma anche la decisione di far partire un negoziato con il regime di Kiev fino a un attimo prima demonizzato, nascano anche e proprio dalla compattezza della risposta dell’Unione.

Il gigante dalla «forza gentile», come Padoa Schioppa descriveva l’Europa, si è messo i guantoni. Guerre no, non ne combatterà più: non ne ha più né i mezzi né la forza, oltre che la volontà. Ma forse ha capito che il suo «soft power», un mix di bit e finanza, satelliti e tecnologia, economia e diplomazia, valori e cultura, è capace di contrastare anche l’hardware della guerra vecchio stile che la Russia ha messo in scena sul suolo ucraino, fatta di trincee e fango, tank e cannoni, lacrime e sangue.

Se questo tentativo avesse successo, se Putin fosse fermato, sarebbe l’apoteosi dell’idea europea. La conferma che l’opzione «mai più guerre» non era un’utopia, e che l’espansione a Est per riunificare il Continente aveva un senso e un suo realismo. Che gli europei sono cioè davvero fratelli, come si è portati a pensare guardando le immagini fino a ieri inimmaginabili di «sovranisti» polacchi e ungheresi che accolgono generosamente i profughi, perché europei come loro, e a loro accomunati dalla minaccia russa.

Non sappiamo se Putin vincerà questa guerra. Ma una battaglia l’ha già persa: l’Europa gli ha dimostrato di esistere. Per rientrare nel Grande Gioco delle potenze mondiali, sfidando gli Usa e cercando l’alleanza con la Cina, l’autocrate ha dato per scontato che il Vecchio Continente non sia ormai altro che un’espressione geografica, cui poter strappare un pezzo di carne viva, la terra di Leopoli e Kiev, come se fosse parte delle steppe euroasiatiche, e assoggettarla alla legge antica di Mosca. Si è trovato di fronte invece un popolo ucraino che si sente europeo, e un popolo europeo che sente l’Ucraina come il vicino di una casa comune, se non addirittura un futuro coinquilino. Le parole di Ursula von der Leyen, che ha invocato l’ingresso di Kiev nell’Unione, vanno certamente oltre il realismo politico e la complessità delle procedure, ma servono comunque a spiegare un clima: è passata l’idea che attaccando l’Ucraina Putin ha attaccato l’Europa, che «l’Ucraina siamo noi», e che per questo non la lasceremo sola.

Un’Europa più convinta della sua «forza gentile» potrebbe anche affrontare su basi nuove il suo difficile rapporto con la Russia, da partner e non da nemica, sottraendo l’Ucraina al destino di nazione-ostaggio dello scontro tra Occidente e Oriente, e facendo di questa terra un ponte piuttosto che un confine. Ma tutto ciò è per un domani che appare lontano, e che per realizzarsi ha bisogno — oggi — di fermare le truppe di Vladimir Putin e la morte che portano.

Qualche giorno fa la rivista americana Time è uscita con una copertina di grande impatto, usando la foto in bianco e nero di un carro armato russo, molto simile alle immagini della seconda guerra mondiale. Il titolo era: «Il ritorno della Storia. Così Putin ha mandato in frantumi i sogni dell’Europa». Ma in una guerra poche settimane possono cambiare tutto. Speriamo che si siano sbagliati, e che presto il titolo giusto possa diventare: «La svolta della Storia. Così l’Europa ha mandato in frantumi il sogno di Putin».

 

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